Pensavate che gli arabi guardassero in tv tutti i giorni solo notiziari, programmi su conflitti e guerre, e talk show di politica? Mi dispiace deludervi, ma vi sbagliate di grosso: uno dei programmi più seguiti nel mondo arabo è The Voice.

A fine febbraio è partita la seconda stagione del famoso talent show, con lo stesso format, meccanismo e grafica che siamo abituati a vedere in Italia: una vera gara canora con giovani concorrenti provenienti da vari Paesi arabi, e guidati da quattro tra i più famosi cantanti: Assi AlHallani dal Libano, Shirin AbdulWahab dall’Egitto, Saber AlRibaai dalla Tunisia e Kazem Al Saher dall’Iraq, tutti  impegnati a seguire, preparare e promuovere i concorrenti, fino alla vittoria del premio per la voce più bella. Il gran finale di The Voice sarà il 29 marzo, ed è stato annunciato come ospite addirittura Ricky Martin, già coach in The Voice Australia, che presenterà il suo nuovo singolo Adrenalina.

I dodici finalisti del programma appartengono a paesi tutt’altro che tranquilli in questo momento: 5 dall’Iraq, 2 dall’Egitto, 2 dalla Siria, 1 dal Sudan, 1 dal Libano e 1 dal Marocco. Questo oltre al vantaggio di avere un vasto pubblico, provoca polemiche sul meccanismo di voto, perché in verità il pubblico che e’ economicamente ricco e capace di votare è limitato e si trova solo nei Paesi del Golfo, anche se non hanno nessun concorrente nel programma. In poche settimane The Voice è già un boom assoluto e record di ascolti; la pagina Facebook del programma ha raggiunto i 5 milioni di fan. Ma non è una novità: gli arabi storicamente sono grandi appassionati di musica, sia come esecutori che come ascoltatori.

Sono famosi i concerti musicali classici negli anni Settanta, dove il pubblico assisteva in sacro silenzio ascoltando il cantante esibirsi con un solo brano che durava circa due ore. La musica mediorientale, storicamente, ma in qualche modo anche oggi, ha contaminato diversi generi musicali occidentali, dalla Spagna all’Italia in Sicilia, ed influenzato l’evoluzione degli strumenti musicali come il liuto e le percussioni. Purtroppo oggi sembra che invece di progredire si torni spesso al passato:  in diversi Paesi arabi esiste una corrente, sotto l’influenza degli estremisti, che considera tutte le forme artistiche proibite, vietando il canto, i concerti e feste, considerati una minaccia alla fede e alla retta via, eventi ed occasioni che inducono alla promiscuità, alle tentazioni e al peccato.

Così partono le retate anche alle feste private, arresti e sequestri di strumenti musicali. La vera contraddizione è l’Arabia Saudita, proprietaria del gruppo televisivo Mbc dove va in onda il programma The Voice, che è uno dei Paesi dove è molto attiva la polizia religiosa impegnata, come spiega il suo nome, nella promozione della virtù e nella prevenzione del vizio. Ovviamente non mancano le minacce sul web, con lunghi sermoni e prediche che invitano a boicottare il programma, e minacciano di scomunicare chi ci lavora, chi vi partecipa e chi lo segue. Come se ne esce allora? In nessun modo, perché “business is business”

Infatti, la globalizzazione e i mercati aperti hanno di sicuro spinto le aziende ad ottimizzare i costi di marketing e pubblicità, e questa è un’occasione unica per rivolgersi  in un colpo solo ad un mercato così vasto, dove con uno spot raggiungi non solo 12 interi paesi, ma anche tutti gli arabi sparsi nel mondo che seguono la trasmissione. Per inciso, forse non sarebbe male se anche le aziende italiane guardassero di più a queste opportunità.

Noi arabi siamo famosi per essere l’incarnazione delle contraddizioni, della lotta tra sacro e il profano. Esiste anche una sorta di voglia di normalità: i giovani, che sono la maggioranza nel mondo arabo, sono stufi dei conflitti, delle guerre, e stanchi di essere etichettati come incapaci e arretrati, quasi fuori dal mondo. Vivono fortemente questa contraddizione tra la modernità e ciò che viene imposto da usanze, religione e tradizioni, tra cosa desiderano e cosa è vietato, tra cosa subiscono e cosa avviene nel resto del mondo. Emarginati da sempre, hanno trovato in questi programmi uno spazio per esprimersi e cercare di costruire un nuovo futuro. Anche se solo nei loro sogni.

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