Nei primi mesi del 2014 tornano ad aumentare i casi di chi decide di togliersi la vita nelle carceri italiane: il 40 per cento dei decessi avvenuti dietro le sbarre è rappresentato da suicidi. Un dato che torna a crescere dopo una leggera flessione registrata nel 2013, quando i detenuti che si suicidarono furono il 30 per cento. L’istantanea è scattata dalla Società italiana di psichiatria che riporta un altro dato emblematico per capire la grave condizione vissuta negli istituti di pena: sono circa 10mila, infatti, le persone che soffrono di una patologia psichiatrica, su un totale di 64 mila detenuti (circa il 16%).
“Per quanto riguarda i disturbi psichici gravi – ha detto Claudio Mencacci presidente della Sip – la situazione nelle nostre carceri è drammatica”. In particolare, ha spiegato, “soffre di disturbi psicotici l’1-9% dei detenuti, di depressione il 10-15%, di disturbi di personalità il 35-45%”. Mencacci ha quindi citato l’esempio della Regione Lombardia, dove su 8.650 detenuti il 10,56, pari a 911 detenuti, è affetto da disturbi psichiatrici: “Questa – ha sottolineato – è quindi la patologia più diffusa nelle carceri insieme all’uso di sostanze”. Ma nonostante questi numeri, ha inoltre rilevato il presidente eletto della Sip, Emilio Sacchetti, “non abbiamo ancora un censimento vero della presenza di soggetti con problemi psichiatrici nelle carceri e questo crea dei problemi al fine della pianificazione dell’assistenza”. “Lo screening del rischio suicidio – ha affermato Sacchetti – deve essere fatto appena la persona entra in carcere, così da prevenire l’episodio e poterne seguire il percorso detentivo con l’assistenza adeguata degli specialisti”.
L’altra falla nel nostro sistema carcerario, hanno denunciato gli psichiatri, è che nelle carceri lavorano di solito giovani psichiatri mentre sarebbero necessari specialisti con percorsi professionali più specifici. Il punto, ha commentato lo psichiatra Massimo Di Giannantonio dell’Università di Chieti, “è che non c’è una formazione specifica per gli psichiatri che operano in carcere”.