La sconfitta delle quote rosa sta nelle quote rosa. Lo dice Lea Melandri che dalle pagine dell’Espresso racconta come questa cosa ci rimandi “indietro, ancora una volta”. Perché accentua al massimo un’appartenenza di genere a discapito della considerazione dei meriti individuali, delle idee personali. (…) Siamo stufe di doverci compattare solo perché apparteniamo a un genere, e non per le idee che portiamo avanti”. Ma lo hanno detto anche Elettra Deiana, Ida Dominijanni, così come l’ho detto anch’io, insieme a molte altre.
Dalle reazioni al voto della Camera si capisce quanto poi Lea Melandri abbia ragione. Tra tutte le donne democristianamente di bianco vestite non si capisce cosa ci sia in comune. E può ululare alla sconfitta di tutto un genere giusto La Repubblica o Gad Lerner, dall’alto del loro paternalismo nuova maniera, ma fuori da quell’aula parlamentare le femministe discutono da giorni e sono molto divise in questo.
Divise perché non si capisce come e perché alcune tra le promotrici del 50/50 si siano accorte della bruttezza di questa legge dopo la bocciatura dei loro emendamenti e non prima. Perché i listini bloccati e la soglia di sbarramento al 12 e all’8%, rispettivamente per coalizioni e partiti, sono un vero e proprio insulto alla democrazia e saranno evidentemente causa della marginalizzazione di tanti gruppi politici condannati a diventare o restare area extraparlamentare. E’ brutta perché l’idea che possa governare su tutti una maggioranza composta solo dal 37% grazie ad un premio di maggioranza enorme significa che ci saranno vastissime aree di popolazione che non saranno mai rappresentate.
Come si può perciò ancora insistere nel perorare la causa delle quote rosa quando sono le stesse quote umane che vanno in malora? Come si può dire che queste donne stanno lottando per la “parità” se chiaramente stanno approvando una legge che è assolutamente impari? La loro vocazione è maggioritaria. Credono che i partiti che dovranno rappresentare l’Italia debbano essere al massimo un paio. Il Pd e Forza Italia. Non essere d’accordo con questo è un dovere a garanzia del pluralismo se per davvero si può immaginare un parlamento in cui il potere rappresentativo risponda alle esigenze quantomeno delle persone che credono nel voto.
Ma analizzando ancora il dettaglio della composizione delle donne di bianco vestite mi chiedo come possano alcune chiedere il voto per le donne? Appena ieri abbiamo saputo di una donna che ha abortito da sola, in bagno, soltanto con l’aiuto del suo compagno. Tra le quotarosate ho visto facce e nomi di donne nettamente antiabortiste. Come mai, come scrive Nadia Somma, non trovano unità sui contenuti e sugli obiettivi veri che ci interessano se proprio vogliono fare cordata? Perché le battaglie si fanno insieme sulla base di affinità politiche e obiettivi comuni e non basandosi su una unità dovuta in base al solo possesso di utero. Questa unità è quella abominevole alla quale avrebbero voluto abituarci queste strane alleanze parlamentari, i vari branchi rosa e poi le Se non ora quando, immaginando che il bipartisanismo dovesse essere un auspicio femminista, ma tutto ciò, tanto per essere chiare, non è né auspicabile e neppure femminista. Tutto ciò ci restituisce semplicemente a una concezione dell’essere donna in termini di riduzionismo biologico, tant’è che l’universalizzazione del brand “donna” man mano che la discussione di questi anni andava avanti ha poi prodotto altri orrori anche transfobici. Per essere donna devi essere sempre vittima, come status conseguito alla nascita. Per essere donna devi essere sicuramente madre.
Tornando al voto sulle quote rosa, comunque, vorrei ragionare brevemente sulle reazioni a questo voto. Un frainteso modello di “femminismo”, che in realtà è una chiamata a fare branco e nulla più, ha ispirato le parole di alcune che sui social network lanciavano la fatwa e applicavano uno stigma sulle “infedeli”, perché la pretesa unità a tutti i costi, non sui contenuti ma sul fatto di essere donne, nel tempo ha prodotto anche un altro disastro culturale, ovvero il fatto che se non stai con una presunta rappresentanza di branco sei targata come una “traditrice”. Di quanta libertà d’opinione si possa perciò godere in quel contesto ve lo lascio immaginare.
Mi ha poi sorpreso il fatto che la parlamentare Giuditta Pini, che è giusto una di quelle che si era arrabbiata per via di un insulto sessista da parte di un parlamentare del M5S, non abbia colto quanto di improprio ci sia nell’evocare lo spirito della Bobbit contro coloro che non hanno votato la norma.
Poi ci sono quelle, arrabbiatissime, che sostengono che se ci fossero più donne in parlamento allora si farebbero più leggi in favore delle donne. Devo perciò tornare al tema dell’aborto, o anche a quello che riguarda gay, lesbiche, trans, migranti. Davvero le donne votano leggi per le donne? A me pare di aver visto tra le componenti del gruppo in bianco alcune che hanno proposto o votato leggi che censurano invece che liberare, che reprimono, invece che consentire libertà di scelta e di dissenso nelle piazze e ovunque. E poi: io vorrei leggi “per” le persone, in riconoscimento dei diritti di tante persone, perché finché non siamo liber* tutt* non è libero nessuno.
Il punto è, per dirla come la dicono le ragazze del collettivo femminista Dumbles, che l’emendamento pink vale quanto spruzzare un deodorante su una cosa marcia; non copre l’odore, al più produce una puzza diversa. E’ la puzza delle cose strumentali fatte in nome e per conto delle donne: la legge sulla violenza di genere, per esempio. Norme messe in piedi per fare tutto meno che l’interesse reale delle donne.
Cosa sarebbe stato peggio? L’approvazione della norma sulle quote rosa. Quello è il peggio. Immaginate i titoli: “la riforma che finalmente parla di parità di genere”, “il governo che ha finalmente fatto molto per tutte le donne”, e via così andando di balla in balla. Un po’ com’è successo in occasione del battesimo del governo Renzi. Si tratta di pinkwashing, ovvero quando ti servi delle donne per fare sembrare migliore qualcosa di orrendo. Se le donne, le persone tutte, avessero avuto un briciolo di buon senso non avrebbero approvato alla Camera quella legge. Se.