I rintocchi della campana dell’orologio della Basilica Vaticana suonano le 19,45. La maniglia della porta sinistra del refettorio al piano terra di Casa Santa Marta si abbassa. Si intravede un vescovo vestito con la semplice talare bianca. Niente zucchetto, niente fascia, niente pellegrina sulle spalle. Per Papa Francesco è l’ora della cena consumata con semplicità insieme agli altri ospiti della struttura voluta da Giovanni Paolo II per accogliere i cardinali durante i giorni del conclave. Bergoglio si accomoda al primo tavolo entrando a sinistra. Di fronte a lui siede il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica. Alla destra del Papa c’è il suo segretario particolare ereditato da Benedetto XVI, il maltese monsignor Alfred Xuereb, neo numero due del “ministero economico vaticano”, e di fronte il segretario in seconda, l’argentino monsignor Fabian Pedacchio Leaniz.
A un tavolo poco distante siede, invece, da solo il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Segno della croce e benedizione della tavola. Pasto frugale. Un piatto caldo (questa sera è il turno dei tortellini in brodo), un secondo (oggi c’è il pollo arrosto) e delle verdure come contorno. Sulla tavola una bottiglia di vino bianco, una di vino rosso e l’acqua. Sessanta minuti appena per cenare e programmare gli impegni della prossima giornata. In piazza San Pietro i rintocchi annunciano le 20,45. Papa Francesco si alza, nuovo segno di croce e breve preghiera di ringraziamento. Poi diritto al secondo piano della Casa Santa Marta, nella suite 201, due stanze e un bagno. Si lavora ancora un po’, si leggono i documenti dei collaboratori e si preparano i discorsi. L’indomani sveglia alle 4,30 del mattino. Meditazione e preghiera. Alle 6,45 il Papa arriva da solo nella sagrestia della cappella dedicata allo Spirito Santo di Casa Santa Marta.
Indossa i paramenti e alle 7 inizia la celebrazione della Messa. Dopo i dipendenti vaticani è il turno delle parrocchie di Roma. Il Papa celebra senza nessuno accanto. Si alterna tra la sede, la mensa e l’ambone da dove tiene l’omelia. “Ingiusto essere benefattore della Chiesa e rubare allo Stato, no ai cristiani dalla doppia vita”. “Preghiamo per i figli dei devoti della dea tangente, la corruzione toglie la dignità”. “Un uomo di governo non strumentalizza Dio e il suo popolo”. “Gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane”. “Il rapporto con Gesù salva i sacerdoti da mondanità e idolatria del ‘dio Narciso'”. “I cristiani incoerenti sono uno scandalo che uccide”. “Bimbi affamati nei campi profughi mentre i fabbricanti d’armi fanno festa nei salotti”.
E’ nel semplice magistero delle omelie mattutine di Casa Santa Marta che Papa Francesco detta la linea di governo del suo pontificato. Un programma condensato nell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium“, vera bussola per l’attuazione della “Chiesa povera e per i poveri” voluta da Bergoglio. Un anno fa il cardinale arcivescovo di Buenos Aires aveva firmato e inviato a Roma le sue dimissioni dopo aver compiuto l’età canonica della pensione, 75 anni, e già pensava, una volta assolto l’improvviso impegno del conclave, di tornare in Argentina e procedere, d’intesa con il nuovo Papa, all’individuazione del suo successore.
Dodici mesi dopo Bergoglio divenuto Francesco ha già messo in cantiere riforme importanti per la sua Chiesa: commissione per la protezione dei minori per proseguire la lotta di Benedetto XVI alla pedofilia; un “ministero dell’economia” affidato alla guida del cardinale australiano George Pell per evitare in futuro scandali finanziari come quello che ha visto come protagonista monsignor Nunzio Scarano e per migliorare l’utilizzazione delle risorse in particolare per i poveri e gli emarginati; una radicale trasformazione dello Ior che dovrebbe diventare una banca etica; riforma della Curia romana con i dicasteri che avranno esclusivamente potere attuativo e non deliberativo; ridimensionamento della Segreteria di Stato che si occuperà prevalentemente dei rapporti con i capi di Stato e di Governo e non più del coordinamento dei dicasteri della Curia che sarà affidato al cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
Ma la vera riforma, prima di quella dello Ior, della lotta alla pedofilia, e del contrasto agli intrighi della “corte papale”, del carrierismo e delle lobby, gay e non, Bergoglio l’ha incarnata con il suo stile spontaneo e diretto che commuove i semplici che ogni mercoledì alle udienze generali e ogni domenica agli Angelus inondano piazza San Pietro e le vie adiacenti, e tocca i cuori dei potenti della terra, da Barack Obama, alla regina Elisabetta, a Vladimir Putin. E’ lo stile Bergoglio rivoluzionario e disarmante nella sua semplicità evangelica che incanta il mondo, credente e non, gettando nell’oblio la stagione di Vatileaks. In dodici mesi di pontificato Bergoglio ha demitizzato il papato reduce dei suoi flabelli ma non lo ha per niente laicizzato. Con il suo stile di vita umanissimo e perciò rivoluzionario ha incarnato, invece, uno dei titoli papali tanto caro agli ultimi vescovi di Roma, Giovanni Paolo II in primis, quello di servo dei servi di Dio.
E tutto ciò non perché dopo dodici mesi di regno vive ancora a Casa Santa Marta, indossa le sue scarpe nere ortopediche, il pantalone nero che fa mostra di sé sotto la talare bianca, la camicia senza gemelli, usa una modesta Ford Focus blu, telefona alle persone che gli scrivono i loro problemi e segna sulla sua agendina personale gli impegni quotidiani. La rivoluzione di Bergoglio è nella prossimità che questo anziano uomo, rapito dalla sua Buenos Aires dove ha vissuto tutta la sua vita fino alla fumata bianca di un anno fa, ha saputo dimostrare al mondo intero che ne è rimasto visibilmente sconvolto e affascinato, ma che ha cercato anche di strumentalizzare la sua immagine piegandola a logiche mondane. “Mi sento molto vicino a Papa Francesco – confida a ilfattoquotidano.it il cardinale di Manila Luis Antonio Tagle – perché prima della sua elezione avevamo lavorato insieme per tre anni al Sinodo dei vescovi. Ma una cosa che apprezzo molto di lui è che anche dopo che è diventato Papa è rimasto lo stesso: semplice, molto aperto, molto sincero, senza pretese, senza illusioni, lui trasmette questa semplicità a tutto il suo ministero e a tutta la Chiesa”. “Sogno una Chiesa – aveva scritto prima di morire don Andrea Gallo – non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini”. Sembra che la Chiesa di Francesco sia proprio così.