“Endo: time to end the silence”, tempo di rompere il silenzio. È questo lo slogan scelto per la prima Giornata mondiale per l’endometriosi, che si celebra giovedì 13 marzo. In 53 capitali del mondo si tiene la Million woman march for endometriosis, una campagna di sensibilizzazione a livello globale, insieme a diverse iniziative organizzate a livello locale, per far sì che l’opinione pubblica e gli addetti ai lavori prendano coscienza dell’entità del problema.
L’endometriosi è una malattia tanto diffusa quanto poco conosciuta: le stime parlano di 176 milioni di donne nel mondo – 14 milioni nella sola Europa – colpite da questa patologia, che rappresenta una delle principali cause di infertilità precoce, soprattutto quando non viene diagnosticata per tempo. “In Italia – spiega a ilfattoquotidiano.it Marisa Di Mizio, presidente di Ape onlus (Associazione progetto endometriosi) – non esiste un registro nazionale dell’endometriosi: si stima che siano oltre tre milioni le donne in età fertile colpite da questa malattia, ma si tratta di numeri veramente approssimativi. Molte donne, infatti, non sanno di avere questa patologia, oppure trascurano i sintomi; e purtroppo a volte nemmeno i medici sanno riconoscere la malattia. In media l’endometriosi viene diagnosticata con un ritardo di 7-8 anni“.
In Italia, racconta Di Mizio, “associazioni come la nostra, che è nata nel 2005 dall’esperienza di un gruppo di donne già attive in altre realtà, sono diventate un punto di riferimento importante per le donne affette da endometriosi. Esistono anche diversi centri pubblici specializzati nella cura di questa malattia (la lista è consultabile sul sito di Ape)”. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e passa attraverso le numerose campagne di sensibilizzazione. “Per sabato 15 marzo – spiega Di Mizio – abbiamo organizzato un flash mob in piazza di Spagna, a Roma, al quale parteciperanno donne da tutta Italia”. Gli obiettivi sono molteplici: “Vogliamo attirare nuovamente l’attenzione delle istituzioni su questa patologia: non solo la gente comune è poco informata, ma è grave che nel 2014 spesso non si riesca ad arrivare a una diagnosi precoce”.
L’invito è rivolto anche al ministero della Salute: “L’endometriosi è stata inserita nel 2012 nel registro delle malattie invalidanti, ma ancora alle donne che ne soffrono non viene riconosciuta l’invalidità: basterebbe una firma del ministro – racconta la presidentessa di Ape – Il riconoscimento dell’invalidità permetterebbe alle donne ammalate che lavorano in condizioni veramente disagiate, e spesso sono costrette ad assentarsi, di non essere più considerate delle fannullone”. Un altro grande aiuto per le donne affette da endometriosi sarebbe il riconoscimento dell’esenzione dal pagamento del ticket. “È la nostra battaglia più grande – spiega Di Mizio – ma purtroppo non sembra un obiettivo realistico: io lavoro in un ospedale pubblico e ogni giorno mi rendo conto di quanto la spending review stia colpendo tutti”.
Un obiettivo condiviso da altre associazioni, come Arianne, di cui è testimonial Morena Zapparoli: “Se venisse introdotta l’esenzione dal ticket, molte donne potrebbero sottoporsi a esami che sono molto costosi, e così scoprire per tempo di essere affette da questa patologia. L’endometriosi viene spesso diagnosticata in ritardo e rappresenta il 30-40% delle cause di infertilità precoce”. Molte donne, a seguito di questa patologia, devono rinunciare ad avere figli: una delle cure, spiega infatti Zapparoli, è “la somministrazione della pillola anticoncezionale senza periodi di sospensione: quando si decide di interrompere la pillola per provare a concepire, il rischio di una recidiva è molto alto. E nelle donne affette da endometriosi è più difficile che la fecondazione assistita vada a buon fine”. Non solo: “Questa malattia è davvero una bestia nera, non solo per i problemi di fertilità ma anche per le conseguenze su altri organi: può infatti provocare gravi emorragie interne, che possono anche portare alla morte – racconta Zapparoli – Anche a livello psicologico si tratta di una malattia fortemente invalidante: oltre al pensiero di non poter diventare madre, che per molte donne rappresenta una grande rinuncia, i dolori cronici rendono la vita difficile e le donne che ne soffrono sono spesso costrette ad assentarsi da scuola o dal lavoro. Il 40% delle donne affette da questa malattia non ne ha mai parlato con il datore di lavoro per paura di perdere il posto”.