Conosco M. da qualche anno. Non è esattamente un mio amico. L’ho incontrato qualche volta perché è un vicino di uno dei miei soci del Trio Medusa.
Romano, simpatico, sorriso contagioso

Negli ultimi anni l’ho incontrato spesso, visto il mio pendolarismo tra Roma e Milano.

M. lavora in Alitalia.

“Da 22 anni”. E gonfia il petto quando te lo dice.
Non so esattamente la sua qualifica. So che è responsabile dell’imbarco dei passeggeri.
“Sembra una cosa da nulla ma, capisci bene, negli anni degli attentati, è un compito delicato“.
Vederlo nel corridoio che porta al velivolo mi dà sempre un senso di tranquillità.
Ha anche un ruolo da supervisore.
L’ho visto arrabbiarsi tantissimo negli ultimi tempi, M.
“Che ora c’è scritta lì?”, ha chiesto ruvido  a uno dei ragazzi che effettuava il check in.
“Le 9.30”.
“Che ore sono?”.
“Le 9.35”.
Sono le 9.36. E siete stati autorizzati ad aprire l’imbarco in perfetto orario. Perché non l’avete fatto?”.
“Va beh… dai… sono solo cinque minuti di ritardo…”.
“Sono sei. E anche un solo minuto è inammissibile per una compagnia come la nostra“.

Povero M.
Sembra l’ultimo dei giapponesi che non si vuole ritirare.
“No, scusa. Non l’accetto questa immagine. La guerra non è persa. Sono in Alitalia da 22 anni e l’ho vista cambiare  – dico cambiare: odio il verbo peggiorare – tantissimo. Ma non mi arrendo. Ai nuovi arrivati spiego: quando indossi quella divisa, rappresenti la compagnia aerea nazionale. Ricordatelo bene. Sei minuti di ritardo? Non è accettabile. Sai che ci prendono in giro da sempre, dicendo che ‘Alitalia è l’acronimo di Always Late In Arriving’? Noi? Sempre in ritardo? Io sono stufo di questo sarcasmo. Sono stufo dei luoghi comuni sulla nostra azienda. E c’è solo un modo per farli cessare: farli sembrare totalmente privi di fondamento.

Diresti mai ‘ritardatario come uno svizzero’? No, vero? Perché? Perché gli svizzeri sono sempre puntuali.

Non voglio essere più considerato il solito cialtrone italiano”.

Dopo l’ultimo post sul fallimento di Roma, ho ricevuto alcune cortesi mail e commenti del tipo: “Fallisci tu, stronzo”, “Vattene da Roma” e compagnia bella.

Ma quello che mi ha fatto più pensare (e in una certa misura sperare) sono stati i messaggi di coloro che lavorano per le varie municipalizzate romane.
Sintetizzo (sperando di cogliere il significato generale di questi messaggi): non siamo tutti così, non siamo tutti lavativi, non siamo tutti imboscati, mi alzo all’alba per spazzare la città, l’autobus che guido è sempre perfettamente in orario.
Ci mancherebbe. So bene che ci sono molte persone che si spaccano la schiena.
Però, come dice M., se non vuoi dare l’impressione di “essere il solito cialtrone italiano” devi fare in modo che – non solo tu – ma anche gli altri non si comportino da soliti cialtroni italiani.

Sono convinto, ingenuamente, che se ci fossero più persone come M. avremmo meno aziende di m.

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