Ventisette milioni di voti al referendum antinucleare basteranno a chiudere la partita? Sì, solo se si tiene viva l’alternativa della riduzione dei consumi e della sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili e se si tiene d’occhio il rapporto inverso tra disarmo atomico e proliferazione del nucleare civile. Una tentazione quest’ultima che torna a ispirare le politiche industriali delle potenze mondiali. Non tanto per ragioni tecnico-scientifico-economiche, quanto per il peso sempre sottaciuto degli interessi militari delle potenze mondiali.
A tre anni dalla tragedia, Fukushima non sembra determinante quanto lo era stata Chernobyl trent anni fa. Eppure, dopo la fuoriuscita di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva dalla centrale, il governo giapponese aveva elevato già a metà del 2013 lo stadio di allerta al Livello 3, corrispondente su scala mondiale a un “incidente radioattivo grave“. Addirittura, in risposta all’allarme ufficiale, sui mercati si era diffuso il panico e alla Borsa di Tokyo i guadagni accumulati sino a quel momento erano evaporati completamente con il tracollo improvviso di 250 punti dell’indice azionario Nikkei 225.
Nonostante si siano turbati persino i mercati, chi ha messo il silenziatore all’opinione pubblica mondiale e come mai l’energia nucleare torna saldamente nelle agende politiche di molti paesi? Deve destare qualche sospetto il fatto che la maggior parte dell’aumento previsto della capacità di elettricità da fissione (oltre l’80%) sarà concentrato nei Paesi che già utilizzano il nucleare e possiedono armamenti nucleari. E qui l’elenco si fa inquietante.
Il rilancio annunciato del nucleare inglese – con la collaborazione francese – esprime l’ambizione di Gran Bretagna e Francia di ritornare “grandi potenze”. Il 21 ottobre 2013 il governo inglese conservatore, appellandosi a capitali e tecnologia d’oltre Manica, ha rilanciato l’impegno nucleare, dando via libera a un consorzio franco-cinese che costruirà due reattori nel sito di Hinkley C, il primo di almeno 8 nuovi siti nucleari. Se si guarda al retroterra militare del nucleare cosiddetto “civile”, non dovrebbe stupire più di tanto che l’atomo inglese possa parlare anche francese, non fosse altro che per riequilibrare la potenza economica tedesca in Europa e per mantenere il ruolo di potenze di controllo dell’area mediterranea.
Contemporaneamente, la capacità nucleare si sta espandendo in Europa orientale e in Asia. La Cina si sta imbarcando su un enorme aumento della produzione nucleare a 58 GWe entro il 2020, mentre obiettivo dell’India è di aggiungere 20-30 nuovi reattori entro il 2030 ai suoi già in funzione.
E ci sono già esempi di globalizzazione dell’industria nucleare. A livello commerciale, entro la fine del 2006 tre grandi alleanze tra occidentali e giapponesi si erano formate e sono state rafforzate: Areva con Mitsubishi Heavy Industries; General Electric con Hitachi; Westinghouse con il controllo per il 77% da parte di Toshiba. Molti dei reattori della Cina utilizzano tecnologia proveniente da Canada, Russia, Francia e Stati Uniti, mentre la Cina assiste Paesi come il Pakistan nello sviluppo dei loro programmi nucleari. La Russia è attiva nella costruzione e nel finanziamento di nuove centrali nucleari in diversi paesi. La Corea del Sud sta costruendo un progetto nucleare per 20 miliardi di dollari negli Emirati Arabi Uniti.
Il sentimento popolare, invece, si concentra sulle energie rinnovabili e la stessa pericolosa traiettoria dall’energia nucleare alle armi nucleari è oggi messa in discussione da una richiesta popolare per la pace e la sostenibilità. Lo dimostra la grande manifestazione dell’11 marzo a Tokyo, silenziata dai media nonostante gli slogan inequivocabili come “Sayonara Nucleare” e “Fukushima non si ripeta ancora”.
Perché così poco clamore? Il governo giapponese ha varato una legge per cui solo quest’ultimo ha il potere di decretare quali possano essere i segreti di stato. Qualunque impiegato statale che divulghi questi “segreti” rischia di essere detenuto fino a 10 anni e i giornalisti potrebbero scontare una pena fino a 5 anni di carcere. Una restrizione di tipo militare sulla libertà di espressione, che ha portato 3000 scienziati giapponesi ad opporsi alla legge in nome dei “principi del pacifismo e dei diritti umani fondamentali stabiliti dalla Costituzione”.
Per una più ampia riflessione su questi temi rimando alla pubblicazione del libro postumo “Esigete!” di Stephane Hessel (l’autore del notissimo “Indignatevi”!) in uscita in questi giorni in libreria.