E’ una roba tutta tra musici, krapfen e boiate, quella che in va in scena sabato 15 e domenica 16 marzo 2014 al Teatro Duse di Bologna. Giorgio Comaschi e Francesco Guccini, voce fuori campo, portano sul palco “Fra la via Emilia e il west”, intime cròniche epafàniche trasferite sull’asse stradale ed urbana, quando il maestrone scendeva da Pavana, poi Modena e Bologna. Il cambiamento della città, le mode, i costumi, gli amori di un’epoca – gli anni ’70 – di creatività e speranza vengono raccontati nel teatro di via Cartolerie, giusto quaranta passi da quella che fu la storica Osteria della Dame.

“Lo incontrai lì Francesco. Erano i primi anni settanta e al sabato era alle Dame per sperimentare la sua musica e i suoi testi”, viaggia sui binari dell’amarcord l’attore Giorgio Comaschi spiegando al fattoquotidiano.it il suo avvicinamento a Guccini, “Poi quando scrivevo al Carlino nei primi anni ottanta gli chiesi di scrivere qualche articolo; infine da Vito, quando morbidamente l’intesa tra noi si creò del tutto fino a diventare complicità”.

Prima di arrivare alla genesi dello spettacolo che va in scena al Duse bisogna capire il cosiddetto retroscena Guccini/Comaschi che porta alla condivisione del lavoro di scrittura: “Vacanze. Sì proprio quelle”, prosegue Comaschi, “ne abbiamo fatte tante insieme: lui con Raffaella, io con la mia signora: in Argentina, in Egitto, a Budapest, l’anno scorso sull’isola di Zante. E dire che io e lui siamo le tipiche persone a cui “piace stare a casa”. Una complicità di non voler muoversi che in lui tocca vette altissime. In Egitto davanti alla maschera di Tutankhamun comincia a borbottare e nel silenzio del raccoglimento mi guarda e mi fa ‘E’ già l’una’. O ancora: al museo Picasso si accascia a metà percorso, affranto e stanco su quelle panche dei musei e dice ‘Facciamo quelli che Picasso l’han già visto”.

Solo ora può partire l’attacco in Sol e poi Do7: “Un giorno mi dice: perché non metti insieme Cittanova Blues (scritto nel 2004 ndr), Marco Paolini ne ha letto un po’ e a teatro può funzionare. Allora ho chiamato Flaco Biondini, che è anche in scena con me, e abbiamo costruito una cosa strana ma interessante, un testo in cui prendiamo un po’ in giro Francesco facendo finta di non capire cosa dice, tanto che usiamo la sua voce fuori campo che bofonchia ‘non avete capito niente!’. Questa è la prima parte a leggio, poi l’ultimo pezzo una tirata teatrale in cui Guccini inveisce contro il mondo moderno, c’è persino la signora col Suv”.

Il ricordo del mondo che fu, la città degli anni settanta dove le band si chiamavano ancora “complessi”: “Non ho mai avuto nostalgia del passato. Con Tra la via Emilia e il west raccontiamo il senso del tempo che passa, la relazione tra come una cosa era e come è oggi”. “Poi certo oggi le osterie sono cambiate e mi spiace – prosegue – con 50 lire per un bicchiere di vino stavi lì tutta la sera, adesso devi consumare almeno tre bicchieri e il tomino fuso con la rucola. Una nostalgia però per quella Bologna lì ce l’ho: esistevano posti dove potevi suonare e cantare come l’Osteria delle Dame. Oggi se apri un posto del genere c’è subito l’ufficio apposito che manda un funzionario che ti dice che il palco è troppo largo, l’ingresso è troppo stretto, non c’è il bagno per i diabetici, insomma che il locale deve chiudere”.

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