In un futuro non troppo lontano le donne potranno riprodursi senza dover tenere in grembo l’embrione per 9 mesi e senza i dolori del parto: ci sarà un utero artificiale esterno che porterà avanti la gestazione al loro posto. Non avranno nemmeno più bisogno degli spermatozoi maschili per la fecondazione. Come accaduto per la topolina Kaguya, concepita in un laboratorio dell’università di Tokyo nel 2004, basterà fondere due cellule riproduttive femminili per ottenere un ovulo da impiantare nell’utero. La partogenesi umana, immaginata nei modi più diversi nei libri di fantascienza femminista, sarà dunque realtà. Per avere figli maschi si ricorrerà a cromosomi creati in laboratorio. Gli scienziati si stanno dando già da fare, preoccupati come sono dal declino del cromosoma Y (che rende l’uomo fertile e l’embrione maschio) che “sta lentamente e inesorabilmente morendo; oggi gli restano solo 45 geni degli oltre 1400 che aveva quando prese avvio la specie umana”.
Queste e molte altre visioni da uno stadio postumano della riproduzione – una fase storica in cui diventa sempre più difficile distinguere ciò che è naturale da ciò che è modificato o creato dall’uomo – sono descritte nel dettaglio e con numerosi esempi nel libro di Aarathi Prasad, genetista inglese quarantenne, per anni ricercatrice all’Imperial college di Londra. Il suo saggio, pubblicato in Italia con il titolo “Storia naturale del concepimento. Come la scienza può cambiare le regole del sesso” (ed. Bollati Boringhieri, 22 euro), è uscito un anno e mezzo fa in Inghilterra e ha fatto discutere. Prendendo le mosse dalla storia e dalle ricerche sui cosiddetti “parti verginali”, cioè le nascite che avvengono senza la fecondazione, eventi possibili o frequenti in alcune specie animali tra cui api, vespe, tacchini, squali, la scienziata dimostra che i meccanismi della riproduzione umana sono destinati a cambiare radicalmente a causa della scienza. E questo porterà a una vera e propria rivoluzione: “Nel corso dei secoli, i ruoli sessuati assegnati in base al genere sono stati usati per opprimere le donne e giustificare i pregiudizi contro gli omosessuali. Se possiamo fare figli senza ricorrere al sesso, le strutture famigliari che abbiamo imparato a considerare tradizionali potrebbero cambiare e diventare irriconoscibili”. Un’ipotesi che fa storcere il naso a tutte (femministe comprese) e a tutti quelli che pensano che l’identità femminile non possa e non debba essere svincolata da quella di madre ma che di fatto si avvicina allo scenario della fine del genere teorizzato da pensatrici come Donna Haraway e Rosy Braidotti.
La soglia della riproduzione tradizionale è già stata varcata nel momento in cui le donne, soprattutto nelle aree più ricche del mondo, hanno smesso di fare figli “secondo natura”. Gli anticoncezionali, l’ottenimento di diritti fondamentali come il voto e l’entrata nel mercato del lavoro hanno permesso loro di dedicarsi ad aspetti della vita un tempo tipicamente “maschili”, come lo studio, la capacità di procurarsi un reddito, la carriera, ritardando (e in certi casi saltando del tutto, per una libera scelta) il momento della maternità. Lo slittamento dell’età della riproduzione comporta una serie di conseguenze – tra queste: difficoltà a restare incinta o a portare avanti la gravidanza e rischio più alto di malformazioni e di malattie del feto– che hanno spinto gli scienziati e il mercato della salute a mobilitarsi per cercare soluzioni che stanno aprendo scenari inediti per il futuro dell’umanità.
L’utero artificiale esterno, a cui Hung-ching Liu, ricercatrice del Centro di medicina riproduttiva della Cornell University di New York, sta lavorando da oltre 10 anni e la creazione di ovuli e spermatozoi artificiali, che potrebbero anche liberarci dalle pesanti eredità genetiche causa di diverse malattie, sono solo alcuni dei molti esempi citati da Prasad. Si tratta ovviamente di soluzioni riservate soltanto a chi sarà interessato (e a chi potrà permetterselo), sottolinea la Prasad, che confessa di non capire lo scetticismo dimostrato da gran parte dell’opinione pubblica di fronte ai progressi scientifici a cui stiamo assistendo. “E’ divertente quando sento le persone che definiscono ‘naturali’ certe cose e altre no. Ma naturali in che senso e rispetto a cosa? Noi esseri umani pensiamo di essere al culmine della nostra evoluzione ma la verità è un’altra: siamo ancora in fase di adattamento”.