E poi arriva Antonella, la prof che seduce. Lei, un’ingegnere che insegnava in un istituto tecnico, aveva orchestrato un meccanismo diabolico: sfidare i ragazzi su progetti interessanti, complessi, realistici. Cioè inventare un prodotto, costruirlo, avviare un sistema di marketing, e avanti così. Risultato: gente attenta in classe e impegnatissima fuori, con ricordi e affetto da dieci e lode. Come si fa? Leggere (qui sotto) per credere.

 

Salve a tutti, sono un ex insegnante di scuola superiore, ingegnere, fortunatamente e sfortunatamente in pensione forzata da un anno. Ho letto e leggo continuamente di studenti disinteressati, di insegnanti dispensatori di nozioni, di disagi vari lamentati da entrambe le parti. E’ vero, sono tutte cose che conosco e confermo, con qualche o tante eccezioni, magari non note. La mia esperienza è una delle tante eccezioni; io ho insegnato e applicato il Project Management alle mie classi con risultati veramente sorprendenti.

Il corso si chiamava “gestione progetti” e veniva insegnato ai ragazzi dell’ITTS delle classi quarte e quinte. Alla prima lezione sollecitavo le considerazioni dei miei allievi su come fosse innata in ciascuno di noi la propensione alla organizzazione per il raggiungimento di un obiettivo, riflettevamo su come il risveglio mattutino e tutte le operazioni portate a termine fino all’ingresso a scuola, fossero il frutto di una inconsapevole pianificazione volta ad arrivare in orario cercando di dormire il più possibile.

E qui cominciava la mia interazione con il gruppo classe sollecitando resoconti sul proprio risveglio mattutino con aneddoti e risate varie – c’era chi era venuto a scuola con il pigiama sotto la tuta – poi, dopo aver diviso la classe in gruppi, assegnavo loro un compito di pianificazione. Il mio cavallo di battaglia era, dato che i miei allievi erano quasi sempre tutti maschi, “organizzatemi un torneo di calcetto per la scuola e portatemi il risultato del vostro progetto tra una settimana”. Quanto lavoravano, in classe e a casa, seguivano le mie indicazioni e mi spiegavano pazientemente le regole, perché io ero “la prof.” e non sapevo nulla di calcetto

Quello che usciva da questa prima attività era un prodotto confuso, magari inutilizzabile, ma fonte di molte considerazioni sulle quali impostare il mio lavoro successivo. E cominciavo subito con il parlare di lavoro in team, della sua importanza, e definivo ruoli, organigrammi, dinamiche, regole implicite ed esplicite del team di progetto, spiegavo loro che la nostra classe era un team di lavoro con un obiettivo chiaro e definito da portare a termine in un tempo stabilito, l’anno scolastico, che io ero il project manager del gruppo classe, non il capo, ma il coordinatore e loro i miei collaboratori e insieme avremmo centrato l’obiettivo.

Dedicavo alcune ore di insegnamento alle presentazioni personali, al “chi sono fuori della scuola”, magari lo facevamo in lingua inglese perché simulavamo la presenza di un componente straniero. Tutti ascoltavano e tutti volevano presentarsi, anche i più timidi, nessuno si è mai rifiutato di raccontare qualcosa di sé, e chiedevano anche a me, dei miei gusti, dei miei interessi, della mia famiglia. Poi assegnavo loro il primo progetto in gruppo, questa volta un gruppo strutturato con ruoli definiti, li spiazzavo un po’ perché il progetto era “progettatemi e costruitemi un triciclo di carta e cartone a grandezza naturale perfettamente funzionante”, realizzatemi “un filmato della durata di 10 minuti che illustri agli ospiti stranieri della nostra scuola l’Umbria di voi ragazzi e non quella delle cartoline”, organizzatemi “una settimana in Umbria per degli studenti norvegesi”. 

I ragazzi imparavano a lavorare in gruppo e le attività venivano da me pianificate, organizzate, fissando tempi, date cardine, consegne intermedie. Il mio laboratorio era un via vai di studenti indaffarati, che entravano prima dell’orario stabilito perché avevano del lavoro da portare a termine o che mi chiedevano di rimanere oltre l’orario perché dovevano assolutamente farmi vedere lo stato di avanzamento dei lavori.

Erano mattine frenetiche e divertenti, si discuteva, si litigava talvolta, ci si confrontava continuamente. Poi ovviamente, dopo la consegna, come tutti i progetti che si rispettino, venivano analizzati i prodotti, le performances del gruppo, dei singoli, del project manager -quante critiche ho ricevuto! – e qui spiegavo loro come fare una riunione di coda, come redigere un verbale, analizzavamo l’importanza della pianificazione e sulla pianificazione e sui suoi strumenti, Pert, CPM, diagrammi di Gantt, istogrammi di carico, baseline, WBS, ABS , OBS, tecniche per la misura degli stati di avanzamento, cashflow, costi unitari, software per la gestione dei progetti ecc., metto questi termini, a molti sconosciuti, per far capire che comunque stavo insegnando loro una disciplina non semplice

Durante il secondo anno di corso, con il gruppo classe ormai in quinta, assegnavo loro un progetto elettronico. Io non ero più il project manager, ma il datore di lavoro ed eventualmente un esperto a cui chiedere approfondimenti necessari al progetto, cioè le tanto discusse lezioni frontali che erano comunque necessarie e che la classe sollecitava perché aveva bisogno di conoscere alcuni aspetti del prodotto; loro, gli studenti, erano riuniti in team di progetto – formati da tre o quattro componenti, mai due perché, come con un gruppo – e dovevano evadere una commessa. Avevano una lettera di incarico, un capitolato, una data di consegna, delle date cardine e un cliente “io”, sempre molto pignolo ed esigente a detta loro.

La prima cosa che chiedevo loro era la lettura del capitolato, la definizione dell’organigramma del gruppo e la nomina del Project Manager che sarebbe stato il mio diretto interlocutore. E poi via con pianificazioni, schedulazioni e relativi diagrammi, WBS (tutti lavori fatti utilizzando SW dedicati) che appendevamo ai muri del laboratorio e su cui riportavamo lo stato di avanzamento dei lavori.

E qui riporto un aneddoto molto carino: mentre fervevano queste attività, andammo a visitare una azienda importante del nostro territorio, ci portarono nel settore progettazione e lì vedemmo un grosso diagramma di Gantt appeso alla parete, ci spiegarono come pianificavano le attività e ci dissero che si stavano organizzando per usare un SW per disegnare quei diagrammi che ora facevano manualmente. I miei ragazzi, che usavano già questi SW, mi guardarono fieri e uno di loro mi disse: “Prof. questa volta la scuola ha battuto l’industria!“. Il progetto finale consisteva in un prodotto da capitolato, corredato di relazione tecnica, relazione di pianificazione, depliant illustrativo, disegni, schemi elettrici, grafi, computo, libretto di istruzioni, schede di collaudo, verbale della riunione di coda ecc, vale a dire tutto quello che, concretamente, viene richiesto a corredo di una commessa di lavoro. I diversi codici di comunicazione venivano studiati, vale a dire come scrivere una relazione tecnica, come fare una presentazione divulgativa, come parlare con i fornitori, come parlare con il committente, come comunicare nel gruppo, come esporre il proprio progetto e si esaminavano inoltre anche le tecniche di contrattazione.

Non è stato tutto facile per nessuno, ci siamo scontrati, si sono scontrati, ho rifiutato lavori mal fatti spiegando loro gli errori ed invitandoli a porvi subito rimedio, ho dovuto impormi per il rispetto dei tempi ma alla fine, tutti i lavori sono stati portati a termine – e di classi quinte ne sono passate tante…… dal 1992 ! – A prodotto consegnato e valutato da me dai ragazzi, che erano tenuti a compilare la scheda di autovalutazione perché come spiegavo loro, non esiste che si consegni un lavoro giudicato inadeguato da chi lo ha fatto, dopo averli ringraziati elencavo tutte le cose che avevano ed avevo imparato. “Ma davvero? Tutte queste?” E poi, quasi tutti, portavano il progetto all’esame di Stato finale magari esponendolo in inglese e magari in giacca e cravatta, perché è così che si usa tra i manager. 

Ops! Ho dimenticato di dire che insegnavo anche progettazione elettronica… ma questo ha ben poca importanza! Grazie per l’attenzione. 

di Antonella Paparelli

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Le parole, le regole, il rispetto, sono la premessa dell’educazione scolastica. Chi sta oggi in cattedra, dalle elementari al liceo, segnala questo come tema prioritario: è più difficile domare la classe che insegnarle qualcosa. L’iperattività, l’invadenza della tecnologia, il linguaggio volgare, la violenza nel gestire sentimenti e reazioni diventano stress quotidiano, e carenza d’apprendimento. paroladiprof@gmail.com è l’indirizzo per segnalare problemi e idee. Fatelo chiunque voi siate: studenti, mamme, nonni o maestre. Le parole, per noi, sono importanti.

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