I carabinieri hanno eseguito le misure per esecuzione pena per Domenico Barili, 81 anni, ex braccio destro di Calisto Tanzi e suo uomo marketing, e Luciano Silingardi, 73 anni, ex presidente di Cariparma, poi nel Cda del gruppo di Collecchio. L'ex patron del gruppo di Collecchio, che ha compiuto da poco 75 anni, la condanna finale è stata di 17 anni e cinque mesi, che sta scontando in regime di detenzione ospedaliera a Parma
Dopo la sentenza definitiva sul crac della Parmalat emessa il 7 marzo dalla Cassazione, sono stati arrestati per esecuzione pena Domenico Barili, 81 anni, ex braccio destro di Calisto Tanzi e suo uomo marketing, e Luciano Silingardi, 73 anni, ex presidente di Cariparma, poi nel Cda del gruppo di Collecchio. Le misure sono state eseguite dai Carabinieri. Barili è stato colto da malore, trasferito all’ospedale e piantonato.
Quasi 11 anni dopo il crac della Parmalat nel 2003 – una voragine da 14 miliardi di euro, definita dai magistrati “la più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo”, con 38mila risparmiatori truffati – la Suprema Corte, con un verdetto che ricalca quasi del tutto quello d’appello, ha confermato una settimana fa le condanne per il ‘patron’ Calisto Tanzi, il fratello Giovanni (da tempo malato di cuore e deceduto a Parma lo stesso giorno della sentenza) e il commercialista Luciano Silingardi, con uno ‘sconto’ per quest’ultimo di tre mesi per la prescrizione dell’accusa di associazione a delinquere.
Ha guadagnato lo sconto, di cinque mesi, anche Fausto Tonna: l’ex braccio destro di Tanzi è stato l’unico ad ottenere il rinvio alla Corte di Appello di Bologna. Per Calisto Tanzi, che ha compiuto da poco 75 anni, la condanna finale è stata di 17 anni e cinque mesi, che sta scontando in regime di detenzione ospedaliera a Parma. A lui e agli altri 12 coimputati saranno concessi tre anni di indulto, varato dal Parlamento nel 2006. Silingardi ha maturato – con lo sconto – cinque anni e nove mesi. Soddisfatte quasi del tutto, eccetto il ricalcolo per Tonna e lo sconto prescrizione, le richieste del sostituto procuratore generale Pietro Gaeta, che aveva chiesto la conferma del verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna il 23 aprile 2012.
Fin da subito era apparso reale il rischio carcere per chi ha condanne non estinte dall’indulto e superiori ai tre anni. Alcuni potranno chiedere l’affidamento ai servizi sociali, altri la detenzione domiciliare in base alla legge Severino.