Le parole attendono ai crocevia di Niamey quando funzionano i semafori. Coi bambini che rischiano di lavare i vetri delle macchine senza essere pagati. I mutilati e gli storpi che abbandonano per qualche ora la sedia a rotelle. Sostituiti dai venditori di fazzoletti di carta che nessuno usa. Gli orsi e altri balocchi sono esibiti e fatti sparire in fretta. Le donne Mandingo dai vestiti variopinti domandano cibo e mostrano i bambini come un trofeo. Gli elemosinari si accampano su precari teli di plastica come tappeti volanti. Gli asinelli col carro si azzardano a competere coi dromedari. Il semaforo cambia di colore e tutto ricomincia da capo al rosso seguente.
Le parole sono crociate e girano attorno come nelle rotonde. Le stesse da troppo tempo e stanche di non dire niente di nuovo sotto il sole di Niamey. Passano di bocca in bocca e pochi ne custodiscono il senso. Sono ostaggio di una consuetudine innocua e banale. Persino i minareti non raccontano più nulla di rilevante. Raccolgono i fedeli per le preghiere che non lasciano solchi per seminare novità. Quelle dei politici rincorrono il vuoto e la dimenticanza le ricopre di vento. Le parole umanitarie sono le stesse da decenni e solo cambia la carta su cui sono stampate. Le scuole della parola sono schermi televisivi clonati dai campionati europei di calcio.
Le parole sono sedotte e abbandonate ai venditori ambulanti di camicie sportive. Quelle che rimangono invendute sono rubate dai contrabbandieri. C’è chi le dimentica prima di uscire da casa e chi le impresta ai commercianti. Si infiltrano tra i cellulari e gli sms che le accorciano per risparmiare unità di credito. Sono pochi quelli che le rendono capaci di provocare insurrezioni disarmate. Sono adottate dai poveri finché hanno il tempo di ricordare. Inseguono senza saperlo le ultime notizie di cronaca. Accompagnano i passeggeri in transito e per andare lontano pedinano i migranti. Si contentano di poco e hanno smesso di credere nei dizionari.
Le parole di Niamey sono piene di polvere. Vanno in giro vestite perché senza non sarebbero più credute da nessuno. Organizzano convegni per imbrogliare i viaggiatori di frodo. Sono scritte sulla sabbia dei cartelli pubblicitari. Circolano in città con le macchine di rappresentanza. Passano con le le sirene della polizia e seguono il corteo presidenziale. Attorno a loro ci sono i militari con armi pesanti e sono controllate dai droni. Sono militarizzate e seguono esercitazioni coordinate dalle grandi potenze. Passano il primo ponte nelle ore di punta e si lamentano del traffico della città. Concludono la serata nel ristorante con gli amici e non parlano di politica.
Le parole sono rifugiati che non sanno dove andare. Fuggono per inseguire la vita da un’altra parte. Imparano a mentire per sopravvivere alle verità. Hanno perso i documenti o li hanno abbandonati per sgomento. Cercano una casa dove abitare e una macchina da cucire per lavorare. Raccontano poco di quanto hanno abbandonato per il timore di tradirlo. A volte mostrano le foto di famiglia nella certezza di ritornare. Hanno imparato ciò che si può lasciare e quanto invece si deve custodire. Immaginano un mondo che ancora non è arrivato e si esercitano nell’arte di scavare. Inventano nuove lingue per imparare a memoria la storia della libertà.
Le parole sono cruciverba improvvisati ai semafori. Alcuni giovani vendono le carte delle compagnie telefoniche. Altri raccomandano colorati asciugamani di stagione. I ciechi vanno in giro guidati da bambini perché nessuno sa dove andare. L’acqua si vende fresca in sacchetti di plastica trasparente. Passano in incognito ferri da stiro e pantaloni all’ultima moda. Scompaiono in fretta il completo di chiavi per i meccanici e i coltelli da cucina. C’è chi propone un parabrezza e l’olio per i freni quando servono.Si impara a conoscersi quando il semaforo cambia di colore e per primi partono i motorini.