Trenta emozionanti minuti con il pilota e campione paraolimpico sulle nevi di Sauze d’Oulx, dove è testimonial del programma SciAbile di BMW: 700 allievi con disabilità di vario tipo hanno già imparato a sciare
Ironia, grinta e modestia. Ovvero Alex Zanardi. Ilfattoquotidiano.it l’ha incontrato in Val di Susa in occasione della festa annuale di SciAbile sulle nevi di Sauze d’Oulx. Il progetto, gestito dalla scuola di sci locale e sponsorizzato da BMW Italia, è nato nel 2003 e ha già consentito a più di 700 allievi con disabilità di vario tipo di imparare a sciare. Zanardi, che nel 2001 fu vittima del terribile incidente nel quale perse le gambe, è “l’orgoglioso padrino” del progetto, come lui stesso si definisce. A Salice arriva dopo un altro allenamento in pista, in vista della Blancpain GT Series, che correrà al volante di una Z4 GT3. Sfreccia con il suo monosci, firma decine di autografi e chiacchiera con tutti: ragazzi del corso, genitori, maestri di sci.
Ancora un impegno nel volontariato: quanto ti cambia un incidente grave?
Quando hai qualche capello bianco è logico che maturi certe sensibilità che prima non sapevi esprimere; a vent’anni è comprensibile essere concentrati sulle proprie priorità. Alla fine, però, scopri che sei una persona estremamente fortunata, che con poco può fare tanto, e capisci l’importanza di mettersi a disposizione. A dire il vero, qui il lavoro duro lo fanno loro, i ragazzi e i maestri di Sciabile. Questa è un’iniziativa bellissima: dà la grande opportunità a tante persone di capire che anche se hai perso qualche “pezzo” per strada non ti viene preclusa la possibilità di continuare a vivere. E magari da qui può nascere la fiducia in te stesso che ti spinge a provare a fare altre cose che nemmeno immaginavi possibili.
Ti sei rimesso a correre in pista e, nonostante tutto, vai sempre forte. Da che cosa nasce questa tua energia?
Capisco il senso la domanda: guardando la mia vicenda da fuori mi aggiungerei al club di quelli che dicono “però, guarda Zanardi che forza, io al suo posto non sarei capace”. Eppure non mi occorre un grande sforzo di volontà, perché io ho la fortuna di fare quello che mi piace, cioè correre in macchina, e di trasformarlo in un’attività lavorativa.
C’è gente che smette di guidare, dopo incidenti molto meno gravi del tuo…
La natura umana contempla una serie di reazioni imprevedibili ai fatti avversi. Io un giorno guardavo “Nato il 4 luglio”, quel film in cui Tom Cruise interpreta un reduce del Vietnam rimasto senza gambe: m’aveva fatto impressione. Mi ritrovai a chiedermi come avrei reagito in una situazione del genere, e la risposta che mi diedi quasi in automatico fu che mi sarei ucciso, non avrebbe avuto senso vivere così. Invece, quando mi sono svegliato dal coma, ho provato una felicità intensissima: stavo da schifo, avevo un dolore terribile addosso, non riuscivo a parlare, non riuscivo a muovermi, eppure ero strafelice di essere vivo.
Così hai vinto due medaglie d’oro e una d’argento alle Paraolimpiadi di Londra 2012…
Quando, a casa, passo davanti alle mie medaglie olimpiche ripenso a tutto quello che ho fatto per arrivare fin lì. Mi ricordo quando sudavo, mi allenavo sulla mia hand bike e tutti mi dicevano “sei un matto, è impossibile, hai 46 anni”. Eppure, io ho creduto quella piccola follia possibile.
Parliamo di auto: come vedi quelle di domani?
Sicuramente c’è un cambiamento di sensibilità. Mi rendo conto che anche per il sottoscritto le cose stanno cambiando: io ho la fortuna di poter scegliere nel parco auto BMW; una volta avrei scelto la più potente, adesso preferisco un’auto comoda, che mi faccia arrivare a destinazione riposato. E poi c’è più attenzione per l’ambiente: l’idea di guidare un’auto che inquini poco inizia ad essere apprezzata da tutti.
Secondo te si fa abbastanza per formare e sensibilizzare i neopatentati alla sicurezza stradale?
No. Si fa qualcosa, ma si parla per slogan nel tentativo di essere più incisivi, perché su questo tema nessuno ha molta voglia di ascoltare, c’è un rifiuto alla percezione del rischio. E si continua a puntare il dito sulla velocità e sull’alcol, come se fossero gli unici atteggiamenti scorretti e pericolosi. Invece, credo che occorra lavorare sul livello di attenzione: bisogna saper tenere gli occhi fissi sulla strada, saper adattare la velocità alle condizioni del traffico, del fondo stradale e dell’auto. Digitare messaggi sul cellulare mentre si guida è pericolosissimo, per esempio, ma pochissime persone sono state messe nelle condizioni di sviluppare un interesse e una crescita su questi temi. Recentemente mi hanno chiesto di diventare testimonial di una campagna sulla sicurezza per le autostrade; io sono stato molto chiaro sul fatto ritengo sbagliato che le risorse a disposizione della polizia stradale siano ridicole, e che la sicurezza si faccia a colpi di autovelox e affini. Alla fine non ci siamo trovati d’accordo: loro volevano che parlassi di quanto il tutor avesse ridotto gli incidenti. Certo, sarà utile, ma se si parla per slogan e certe cose non vengono spiegate, non ci sarà mai consapevolezza.
Tuo figlio, Niccolò, si avvicina all’età della patente: da genitore, come la vivi?
Penso di non avere nulla da temere, perché Niccolò non ha una grossa passione per il kart o per la velocità. Poi, magari cambia tutto, e io ne sarei felice, perché avere una passione in comune col proprio figlio è un modo stupendo per giocare insieme e abbattere quella barriera naturale e insondabile, legata al ruolo di genitore e alle differenza d’età.