La conferma è una delle più attese della fisica contemporanea, ossia che c'è stata effettivamente un’epoca in cui, istanti dopo il Big Bang, l’universo ha cominciato a espandersi nella cosiddetta “fase di inflazione”. Albert Einstein ancora una volta aveva ragione. Dall’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston giunge un annuncio che, se confermato, potrebbe avere la stessa portata della scoperta del bosone di Higgs
Albert Einstein ancora una volta aveva ragione. Dall’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston giunge un annuncio che, se confermato, potrebbe avere la stessa portata della scoperta del bosone di Higgs. E aprire una nuova finestra sul cosmo, come quando Galileo Galilei ebbe l’idea di puntare, primo al mondo, un cannocchiale verso il cielo. Gli scienziati dell’esperimento Bicep (Background imaging of cosmic extragalactic polarization), un particolare telescopio installato presso la base Amundsen-Scott del Polo Sud, hanno affermato di aver trovato per la prima volta, ascoltando i primi vagiti del cosmo, le impronte delle onde gravitazionali primordiali, increspature dello spazio-tempo originatesi subito dopo il Big Bang, secondo quanto previsto dalla teoria della Relatività Generale. E da allora in viaggio in ogni direzione, come le onde di un lago, attraverso i meandri dell’universo. “Sono i primi tremori del Big Bang”, questa la definizione data dagli astrofisici americani.
La comunità scientifica è in fibrillazione. L’entusiasmo si alterna alla prudenza. Uno dei tasselli mancanti nell’architettura dell’universo, disegnata nel 1916 dal geniale fisico tedesco, sembra aver trovato finalmente collocazione dopo quasi un secolo di attesa. “È la prima immagine diretta di onde gravitazionali che attraversano il cielo primordiale”, spiega Chao-Lin Kuo, della Stanford University, tra i leader del team americano. “Wow! Sarebbe davvero una grande, grande, grande scoperta – commenta a caldo Hiranya Peiris, astrofisico dell’University College di Londra -. Le onde gravitazionali rappresentano il Sacro Graal della cosmologia”. “Un annuncio straordinariamente eccitante, che potrebbe valere il Nobel”, gli fa eco Andrew Jaffe, cosmologo dell’Imperial College di Londra.
Ma perché è così importante questo annuncio? “La cattura di questi segnali è uno degli scopi principali della cosmologia moderna”, afferma John Kovac, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, uno dei leader del team di studiosi di Bicep. “Se confermato, si tratta di un vero e proprio colpaccio – commenta Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) -. Eravamo certi che le onde gravitazionali esistessero, perché ce lo ha detto Einstein, ma finora non le avevamo mai osservate”.
L’esperimento del Polo Sud è dedicato allo studio dell’eco del Big Bang. Si tratta di una radiazione fossile con la frequenza delle microonde, individuata nel 1965 dagli americani Arno Penzias e Robert Wilson – vincitori del Nobel in fisica nel 1978 per questa scoperta -, che gli scienziati hanno battezzato radiazione cosmica di fondo. In pratica, una sorta di messaggio in bottiglia spaziotemporale, emesso circa 300 mila anni dopo il Big Bang, che ci racconta del “fiat lux” dell’universo, quando il cosmo divenne cioè trasparente alla luce, fino ad allora imbrigliata dalla materia in un abbraccio che ha impedito ai fotoni di sfuggire via. Un abbraccio che acceca i comuni telescopi ottici, rendendo loro impossibile guardare come appariva l’universo bambino nei suoi “primi” 300 mila anni di vita. In particolar modo, di catturare i suoi primi passi. I cosmologi non hanno ancora compreso, ad esempio, come mai l’universo ci appaia così uniforme in qualunque direzione lo si osservi. Almeno finora. “Adesso – spiega Bignami – in un colpo solo abbiamo visto le onde gravitazionali e capito come ha fatto l’universo a diventare così grande e così in fretta. E lo abbiamo fatto usando un canale d’informazione diverso dalla luce”.
Una delle ipotesi più accreditate, infatti, è che 10-34 secondi dopo il Big Bang – un lasso di tempo pari, cioè, a un decimo di milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo – l’universo neonato si sia espanso esponenzialmente, passando all’istante dalle dimensioni delle particelle a quelle tipiche delle scale cosmiche. Un’affascinante teoria, nota come inflazione, parecchio dibattuta tra i cosmologi, perché ancora priva di robusti riscontri sperimentali. Ma che potrebbe aver lasciato delle tracce, sottoforma di increspature nel tessuto dello spazio-tempo. Proprio come quando si lancia un sasso in uno stagno. “Questo risultato rappresenta una sorta di pistola fumante rispetto alla teoria dell’inflazione – spiega Avi Loeb, fisico teorico di Harvard -. Può, infatti, raccontarci quando l’inflazione ha avuto luogo e quanto potente è stato il processo”.
Sarebbero proprio queste increspature, le onde gravitazionali primordiali, rimaste impresse nell’eco del Big Bang, ad essere giunte fino a noi dopo un viaggio di circa 14 miliardi di anni. Fino ad essere catturate dalle sofisticate orecchie dell’osservatorio Bicep, nel silenzio dei ghiacci remoti del Polo Sud. “Uno dei luoghi più asciutti e limpidi della Terra – sottolinea Kovac -. Perfetto per osservare le tenui microonde provenienti dal Big Bang”.
“Se gli scienziati americani – conclude Bignami parafrasando Newton – sono riusciti a vedere così lontano, è perché sono saliti sulle spalle degli europei, grazie ai risultati della missione Planck, che ci ha fornito una mappa dettagliata dell’universo bambino”.