Una mega discarica scambiata probabilmente per una salina, tanto da essere ricompresa da dodici anni all’interno di un parco regionale. E’ l’assurdità dell’area di Micorosa, a Brindisi, stagno costiero nel quale sono stati sversati i fanghi del petrolchimico. Lì sono sepolti 1,5 milioni di metri cubi di cloruro di vinile, benzene, arsenico e altri inquinanti, tombati fino a cinque metri di profondità su 44 ettari di fronte al mare e con valori che superano di quattro milioni i limiti di legge. E’ per questo che sulla zona vige un’ordinanza comunale che vieta l’accesso alle persone.

Immagini di Emiliano Buffo

 

Eppure quella è area protetta, come dimostrano le cartografie che la ricomprendono nel perimetro del Parco regionale Saline di Punta della Contessa, confermate anche dal nuovo strumento di programmazione di cui si è dotata la Regione Puglia, il Piano paesaggistico territoriale. Ad accorgersi della discrasia non sono stati i tecnici delle istituzioni, ma un gruppo indipendente di ricercatori, geologi e ingegneri, nell’ambito delle osservazioni presentate al progetto del gasdotto Tap, per il quale una delle ipotesi di approdo era prevista lì ed è stata scartata anche per la presenza dell’area protetta.

Micorosa, invece, è zona contaminata, tant’è che per la sua bonifica lo Stato metterà a disposizione 50 milioni di euro. Incerti, attualmente, gli ulteriori 20 milioni di euro a carico di Syndial spa e Versalis spa, società partecipate da Eni. Il Tar di Lecce, a febbraio, ha riconosciuto la loro responsabilità, annullando, però, l’ordinanza con cui la Provincia di Brindisi le aveva obbligate al risanamento: a disporla può essere soltanto il Ministero dell’Ambiente, essendo quella – tra l’altro – area ricadente nel Sito di interesse nazionale.

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