Del rapporto mafia-economia al Sud abbiamo detto. Ma c’è anche l’innalzamento della “linea della palma” (Sciascia). I traffici illeciti dell’impresa mafiosa portano ai boss soldi su soldi. Ma è denaro sporco e finché se ne può riconoscere la provenienza i mafiosi non se lo possono godere. Ha un potere d’acquisto solo potenziale. Per renderlo effettivo occorre ripulirlo investendolo in attività di per sé ineccepibili. Dove va il mafioso per questa attività di riciclaggio? Non è uno sprovveduto, un deserto non fa certo per lui: un’improvvisa cascata di denaro darebbe nell’occhio e il mafioso verrebbe beccato. Va invece dove – nonostante la crisi economica – di denaro ne circola ancora abbastanza, così che il suo (mimetizzato e sommerso) possa meglio ripulirsi. Dunque guarda al centro-nord. Allora, far salire progressivamente la “linea della palma” è nello stesso DNA della mafia. Stupirsene è illogico come sorprendersi che l’acqua bagna.
Per di più il mafioso che per riciclare intraprenda una qualche attività economica, rispetto all’imprenditore “normale” gode di vantaggi cospicui: denaro a costo zero (ne ha già tanto: le banche non gli servono); possibilità di non puntare subito – ricco com’è in partenza – a nuovi profitti, mentre la concorrenza deve guadagnare per sopravvivere; disprezzo per le regole sindacali e di sicurezza sul lavoro; ricorso sistematico a “scorciatoie” (fino alla violenza) se ci sono problemi da risolvere. L’obiettivo remoto è dimostrare agli imprenditori che stando con la mafia si ha una marcia in più (perché quei vantaggi possono, passo dopo passo, portare ad un regime di monopolio, con contestuale azzeramento delle relazioni sindacali e poche storie se qualcuno osa opporsi).
La realtà delle mafie oggi è dunque che esse hanno costruito una “economia parallela”, che pian piano avanza come un’onda e si insinua ovunque (la mafia “liquida”), risucchiando nel suo gorgo commerci e imprese economiche sane, spesso in difficoltà nel costruire le loro sorti sul rispetto delle pratiche legali. E l’attuale crisi di liquidità moltiplica gli spazi economici del crimine organizzato. Di qui un fatturato annuo stimato in oltre 150 miliardi di euro! Così, libero mercato e concorrenza diventano scatole vuote, a fronte di uno Stato che dà l’impressione di non combattere con sufficiente energia una battaglia che è invece sostenibile. Il prezzo di queste cose lo paghiamo tutti noi, cittadini e consumatori, perché la regolarità dei mercati è stravolta certamente non a nostro vantaggio, oltre a dover vivere in un ambiente pervaso di corruzione e intimidazione. Resta quindi dimostrato – anche per l’intero territorio nazionale – che la mafia produce effetti nefasti sull’economia. E che il rispetto delle regole non può che aumentare le prospettive concrete di una vita migliore.
Il Fatto Quotidiano, Lunedì 3 marzo 2014