Il referendum in Crimea ha dato il risultato scontato: un’ampia partecipazione e una maggioranza oltre il 90 per cento a favore dell’adesione della penisola alla Russia. Per i prossimi giorni, il percorso è chiaramente tracciato: oggi, sanzioni ‘blande’ Ue e un po’ più ‘toste’ Usa, mentre Simferopoli formalizza a Mosca la richiesta di reintegro; giovedì, la Duma russa comincia l’esame della legge che consentirà il ritorno della Crimea, mentre il Vertice europeo valuterà ulteriori mosse; poi, ci sarà, la settimana prossima, la missione europea del presidente Obama, con ulteriori concertazioni del riesumato Occidente, ma pure un vertice all’Aja delle potenze nucleari.
Il punto, ora, non sono le sanzioni che saranno decise –per il momento, avendo cura di non farsi male a vicenda- e le dichiarazioni che saranno pubblicate. Il punto è se il reintegro della Crimea è, per Mosca, una stazione d’arrivo, dopo di che si apre una fase negoziale con l’Ucraina, o se è solo una stazione di transito verso ingerenze o addirittura intromissioni nell’Ucraina orientale, a tutela – asserita – dei diritti più o meno violati dei russofoni filo-russi che lì vivono.
Nel primo caso, la crisi troverà, prima o poi, un punto di equilibrio in una situazione di fatto, magari non riconosciuta, ma neppure troppo contestata, che non impedirà a termine il ‘business as usual’ della diplomazia e, soprattutto, degli affari.
Nel secondo caso, invece, la crisi si inasprirà: toni esasperati, conseguenze non prevedibili, davvero un ritorno al clima e ai modi della Guerra Fredda, culmine della nostalgia di bipolarismo nell’era della globalizzazione.
Non è solo Mosca, però, a doversi fermare. Pure l’Occidente non deve spingere troppo in là il gioco in Ucraina: la firma, giovedì, dell’accordo di associazione –per ora un documento politico, in attesa dei contenuti economici- non deve essere preludio di una precipitosa adesione; e neppure si può pensare a stringere i tempi per l’ingresso nella Nato. Prima, bisogna che l’Ucraina trovi, dopo le prossime elezioni, un equilibrio e un dialogo tra le sue componenti territoriali, etniche, linguistiche e politiche, che, dall’indipendenza, non ha praticamente mai avuto.