L’Italia poi è il terzo paese in Europa ed il quinto nel mondo nella classifica del deficit di suolo. Ci mancano 49 milioni di ettari per coprire il nostro intero fabbisogno, pari a 61 milioni di ettari. Siamo destinati ad essere sempre più dipendenti dalla produzione di terreni di altri paesi.
Questi dati ci restituiscono a spot la fotografia di una situazione drammatica che accomuna gran parte dei Paesi dell’eurozona, specialmente Italia, Spagna, Germania, Portogallo, Francia. La “crisi del mattone” rappresenta, in fondo, la crisi di un sistema e di un modello di sviluppo che in troppi e per troppo tempo hanno ostinatamente inseguito nonostante ci fossero campanelli d’allarme a preavvisare il disastro puntualmente arrivato.
Da questa crisi si può a nostro avviso uscire in modo diverso da come ci si è entrati. Non è uno slogan. La crisi strutturale internazionale che stiamo vivendo, a causa della situazione economico-politica, deve essere affrontata con una consapevolezza e una sensibilità nuove, nel pieno rispetto delle superfici non impermeabilizzate, dei fiumi, delle coste, del paesaggio e dell’ambiente, con grande chiarezza e trasparenza. Muratori, carpentieri, piastrellisti, installatori, lavoratori del cemento, lapidei, cavatori, geometri, ingegneri, architetti, restauratori devono avere ancora un futuro nelle costruzioni. Questa volta non per distruggere il territorio, ma per valorizzarne la bellezza e per gratificarne la professionalità e la passione.
La riconversione ecologica deve rappresentare una delle sfide (a nostro avviso la prima e irrinunciabile) che l’Europa deve vincere nei prossimi anni. La tutela del territorio, accompagnata ad una riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati (capannoni, case, fabbriche…), è uno dei grandi volani in grado di attivare occupazione a km zero (distribuita cioè là dove si attuano gli interventi), ridurre l’impatto antropico e consentire circoli virtuosi di risparmio economico da reinvestire in altri interventi di sostenibilità ambientale. Insomma, per riassumerla in uno slogan, fare del bene all’ambiente non solo è necessario, ma possibile e conveniente.
Tutto questo è fondamentale non solo per ridurre i consumi energetici e tutelare un bene comune come il territorio. A riavvolgere infatti il nastro degli ultimi sessant’anni di storia del nostro Paese si scopre che nel periodo compreso tra il 1950 e il 2012 ci sono state oltre mille frane e settecento inondazioni in 563 località diverse, che sono costate la vita a novemila persone, con oltre 700mila sfollati. Per non parlare dei danni al patrimonio artistico e culturale. Solo l’alluvione di Firenze del 1966 ha danneggiato 1500 opere d’arte e 1.300.000 volumi della Biblioteca nazionale.
Novemila persone sono un paese intero. Novemila persone sono 15 chilometri di corpi distesi sul ciglio di una strada. Provate a pensarci, forse è la distanza che percorrete ogni giorno per andare al lavoro. Immaginatevi di essere accompagnati da tutte le vittime di questa guerra che per la maggior parte del tempo non fa rumore, tace, agisce sotto traccia, costruendo le proprie vittime nel giorno per giorno di costruzioni abusive, condoni edilizi, paesi abbandonati, campagne sacrificate al “progresso”, fiumi spostati e golene infestate di capannoni e seconde case. Pensate a tutto questo, per qualche istante, perché è importante visualizzare lo scempio di questa assurdità.
A leggere tutti i numeri di questa storia vengono i brividi, e sono cifre più che attendibili che ci fornisce lo Stato in persona, nelle sue tante diramazioni istituzionali. I comuni italiani interessati da frane sono 5.708, pari al 70,5% del totale: 2.940 sono stati classificati con livello di attenzione molto elevato. L’Italia è un paese a elevato rischio idrogeologico. Le frane e le alluvioni sono le calamità in-naturali che si ripetono con maggior frequenza e causano, dopo i terremoti, il maggiore numero di vittime e di danni. Solo negli ultimi dieci anni sono stati spesi oltre 3,5 miliardi di euro con ordinanze di Protezione Civile per far fronte a eventi idrogeologici.
Ciò che serve, dunque, è un’operazione senza precedenti coordinata a livello europeo di manutenzione straordinaria dei nostri edifici pubblici (a partire dalle scuole), dei corsi d’acqua e delle montagne, diffusa e capillare, in grado quindi di generare ricchezza, occupazione e sicurezza. Affiancare agli interventi manutentivi un’altrettanto radicale opera di informazione e formazione dei cittadini e delle comunità locali. Un lavoro quotidiano, per i prossimi anni, in grado di mettere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica la questione del paesaggio e di un prendersi carico collettivo della sua tutela.