La notizia della morte di Francesco, il bambino soffocato da un panino al ristorante Ikea del centro commerciale Porta di Roma, è arrivata ieri sera, con grande disperazione non solo dei familiari ma anche dei tanti che avevano seguito in queste ore la sorte del bambino. Come se la morte di Francesco, avvenuta in un luogo a noi così familiare e che ci è sempre apparso sicuro, segnalasse una vulnerabilità impossibile da prevenire.
Eppure così non è: perché le morti dei bambini piccolissimi, per soffocamento come per incidente (ben cinquanta all’anno, seconda causa di morte tra i bambini da 0 a 4 anni), non sono quasi mai frutto del caso, né solo della disattenzione dei genitori che si affannano a controllare la dimensione di ogni giocattolo o oggetto nei paraggi. Molto più spesso, invece, in particolare per questa morte, sono il risultato di una società che non insegna a prevenire, preparando i genitori ai possibili pericoli e spiegando loro come evitarli, con un investimento di risorse che sarebbe assai limitato. Una società cui, in definitiva, poco importa della salute dei piccoli, così ossessivamente strumentalizzata invece dalle pubblicità di prodotti infantili.
Se così non fosse non si capirebbe perché la formazione sul tema della disostruzione delle vie aree, un corso di poche ora lungo al massimo mezza mattina, non venga reso obbligatorio per tutti gli educatori di asilo nido e di scuola materna, mentre ad oggi è ancora a discrezione degli istituti. E perché, anche questi semplici gesti che salvano la vita – e la cui ignoranza, probabilmente, ha causato la morte di Francesco, visto che la povera mamma ha fatto ciò che mai dovrebbe essere fatto in questi casi, tentare di prendere il cibo dalla gola, con il risultato di spingerlo ancora più giù – non vengano insegnati ai neogenitori. Personalmente ho avuto la possibilità di seguire il corso di disostruzione delle vie aeree (che trovate anche sul sito www.
Più in generale, manca davvero quel ponte, che altri paesi meno miopi mai si sognerebbero di trascurare, tra la nascita di un bambino in ospedale e la prosecuzione della sua vita a casa. Dove viene cresciuto da genitori che nessuno forma, e che potrebbero essere del tutto inconsapevoli dei pericoli esistenti, oltre che non capaci di gestirli, perché nessuno ha mai spiegato loro come crescere in sicurezza un bambino piccolissimo.
C’è poi la questione delle polemiche sui tempo dei soccorsi, non quelli di Ikea, che aveva un personale addestrato alle manovre (anche se la zia del bambino ne ha denunciato la lentezza, mentre l’azienda smentisce), ma quello del 118, il servizio di pronto soccorso della capitale già al centro di varie interrogazioni parlamentari e che è l’incubo di ogni romano, che sa che cattiva gestione e traffico possono minacciare soccorsi che salvano la vita. Le indagini chiariranno se quei lunghissimi tredici minuti di attesa sono un tempo “fisiologico” oppure no, mentre ci si chiede se un centro commerciale così enorme e isolato non dovrebbe avere un’ambulanza a disposizione (ma figuriamoci, in questi tempi di crisi).
La sola cosa sicura, intanto, è che la scena che si è consumata davanti agli occhi atterriti di tanti non è frutto del caso o della contingenza, ma è stata anche la conseguenza diretta della noncuranza verso la vita, specie dei bambini, praticato sistematicamente da istituzioni insensibili. Altrimenti, di nuovo, non si vede perché non si possano spendere un po’ di soldi in quella prevenzione che facilmente può evitare lutti così dolorosi. Sia per la famiglia colpita sia, in maniera diversa, per l’intera collettività.