Pyongyang e Tokyo riaprono il dialogo partendo dai ricongiungimenti familiari. Negli anni 70 e 80, la Corea usava i sequestri nell'addestramento delle spie. L'ultimo caso quello di una coppia di anziani che ha potuto riabbracciare la nipote, figlia di una donna rapita nel 1977
Per gli anziani Shigeru e Sakie Yokota l’incontro in Mongolia con la nipote Kim Eun Gyong è stato “un miracolo”. Per il ministro degli Esteri nipponico, citato dall’agenzia Kyodo, si tratta invece di uno sviluppo positivo che può portare alla riapertura del dialogo inter-governativo tra Tokyo e Pyongyang. A novembre 1977, appena tredicenne, la madre di Kim Eun Gyong, Megumi Yokota fu rapita dai agenti della Corea del Nord mentre andava a scuola. Il caso Megumi è considerato uno dei più rappresentativi tra quelli dei nipponici sequestrati dai nordcoreani tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, per essere usati nell’addestramento delle spie. Crimini di cui il regime riconobbe le responsabilità soltanto nel 2002.
La ragazza, sostengono i nordcoreani, si suicidò nel 1994. La morte di Megumi è stata tuttavia sempre contestata da Tokyo, perché il test del Dna svolto nel 2004 sui resti restituiti dal regime di Pyongyang dimostrò che si trattava delle ossa di un uomo. Il ministero degli Esteri ha svelato domenica l’incontro di Ulan Bator tra i coniugi Yokota e la nipote. Il ricongiungimento, sebbene soltanto temporaneo, è stato il frutto di un compromesso tra i due governi. La stessa scelta della Mongolia, nazione terza dove tenere l’incontro, è stato un punto fermo per Tokyo.
In passato i nordcoreani hanno invitato più volte a Pyongyang i coniugi, ormai rispettivamente di 81 e di 78 anni. Sia i rappresentanti dell’esecutivo nipponico sia l’associazione che riunisce le famiglie delle persone rapite dai nordcoreani sono tuttavia convinti che gli inviti a Nord del 38esimo parallelo siano soltanto uno stratagemma per convincere gli Yokota della versione del regime sulla morte, presunta, della figlia.
Secondo quanto rivelato dall’Asahi Shimbun, il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha giocato un ruolo centrale. Da una parte l’esecutivo nipponico vuole risolvere la vicenda sequestri, uno dei nodi sensibili nei rapporti tra Tokyo e Pyongyang. La Corea del Nord punta invece a un allentamento delle sanzioni. “La ristrutturazione dell’economia è una priorità”, ha spiegato Masao Okonogi, esperto di Corea della Kyushu University, citato dal Japan Times.
A marzo del 2013, ricorda l’Asahi, il primo ministro incontrò il presidente mongolo Tsakhia Elbergdorj, chiedendo collaborazione nel capitolo nordcoreano. Tokyo punta a sfruttare i buoni rapporti della repubblica mongola con i nordcoreani, forti del legame risalenti ai tempi del blocco comunista, nonostante alcuni sgarbi subiti dal capo di Stato durante una recente visita a Pyongyang, quando non fu ricevuto dal giovane leader Kim Jong Un.
Al vertice di Ulan Bator seguì un secondo meeting in Giappone. Mentre l’incontro dei coniugi Yokota è il risultato di almeno tre riunioni segrete tra rappresentati giapponesi e nordcoreani.
Proprio questa settimana dovrebbe inoltre tenersi un incontro tra delegati della Croce rossa nordcoreana e giapponese. Secondo le informazioni che circolano al riguardo, il regime dei Kim potrebbe sfruttare l’occasione per chiedere di riprendere i contatti a livello di dipartimenti governativi.
di Sebastiano Carboni