È balzato agli onori delle cronache politiche per i suoi rapporti d’affari con la famiglia del ministro Guidi raccontati dettagliatamente nelle scorse settimane da L’Espresso. È stato tirato in ballo dal mensile La Voce delle Voci assieme al suo socio, l’ex numero uno di Lehman Brothers in Europa Ruggero Magnoni, nella vicenda della scalata di Lactalis a Parmalat. E ora emerge che Vincenzo Manes, generoso finanziatore del presidente del consiglio Matteo Renzi, ha un altro grattacapo: una causa mossagli da dieci soci di minoranza di Intek Group, azienda quotata in Borsa di cui l’imprenditore è presidente e che di fatto è controllata da quest’ultimo e Magnoni attraverso la Quattroduedue Holding, una holding con sede in Olanda e propaggini alle Isole Bermuda.
Nelle scorse settimane al tribunale di Firenze si è tenuta la prima udienza. I piccoli azionisti, assistiti da un pool di avvocati composto da Marco Weigmann, Fabrizio Benintendi, Enrico Maggiora e Sandra Saponaro, contestano la legittimità di una serie di operazioni finanziarie succedutesi in rapida sequenza, che hanno portato alla concentrazione, sotto un’unica holding-capogruppo, KME Group spa (il maggior produttore mondiale di rame e leghe di rame) e Intek spa (società di partecipazioni finanziarie). Come emerge dall’atto di citazione che Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, i soci di minoranza imputano in particolare al vertice di Intek Group la responsabilità di aver utilizzato una serie di strumenti finanziari tesi ad “incentrare su di sé la totalità delle azioni aventi diritto al voto, estromettendone tutti gli altri azionisti votanti”. Ciò peraltro senza passare per il lancio di un’Offerta pubblica di acquisto (Opa). Di qui la conseguente contestazione secondo cui “la prospettiva di aggregare Intek ad una realtà squisitamente industriale (KME, ndr) – si legge nell’atto di citazione – appare […] illogica, contraria al buon senso […] con l’unica finalità di incrementare la quota percentuale detenuta dal socio di maggioranza”.
Il quale dal canto suo manifesta assoluta serenità rispetto alle accuse. “La causa promossa è minimale e non ha alcun fondamento da un punto di vista legale, come verrà dimostrato in tribunale”, è stato uno dei commenti in merito alla vicenda che Manes ha rilasciato a Ilfattoquotidiano.it. Va pur detto che il complesso di operazioni messe in campo e culminate nella incorporazione di Intek in Kme vengono peraltro presentate nel bilancio 2012 come la via per mirare alla “valorizzazione dinamica dei singoli asset […] con una focalizzazione accentuata sulla loro capacità di generazione di cassa o su quella di accrescimento del valore azionario“. Le operazioni però hanno avuto effetto più sugli assetti proprietari che sulle performance gestionali e di Borsa. Manes e Magnoni, con la Quattroduedue, hanno accresciuto il controllo sul gruppo, mentre i valori azionari di Intek sono rimasti al palo. Senza contare che negli ultimi sei anni i titoli dei concorrenti della capogruppo KME, come Mueller Industries Inc. e Aurubis AG, hanno guadagnano fino al 350%, mentre le quotazioni di Intek, nel medesimo periodo, hanno perso attorno al 60 per cento.
Anche perché da soli gli esercizi 2011 e 2012 hanno portato al gruppo perdite complessive per 94 milioni. Il 2013 sembra proseguire su questa strada: i conti al 30 settembre già evidenziavano un rosso di 17 milioni. Da qui il dito dei dieci azionisti di minoranza puntato sulle “oggettive e concrete negatività insite nell’operazione medesima (la fusione tra KME e Intek, ndr) “. Sulla cui legittimità in ogni caso, l’ultima parola spetterà ai giudici di Firenze, attraverso un iter processuale che riprenderà il prossimo 5 giugno e che si preannuncia lungo e molto combattuto.