Un decreto legge che stabilisce periodi di prova interminabili e una legge delega che accenna al contratto a tutele crescenti: la contraddizione nei primi passi del Governo sul lavoro è palese. I motivi di urgenza ci sono tutti, ora bisogna scegliere.
di Tito Boeri e Pietro Garibaldi (fonte: lavoce.info)
A leggere il decreto e il disegno di legge-delega sul lavoro usciti dal Consiglio dei ministri di mercoledì scorso, si ha l’impressione di assistere ad una crisi di schizofrenia.
Gli articoli 1 e 2 del decreto sembrano ripresi pari pari dagli articoli 3 e 4 della proposta di legge Sacconi, Albertini, Berger e Casini. È ora possibile assumere per otto volte nell’arco di tre anni un lavoratore con un contratto a tempo determinato di 4/5 mesi. Una norma di questo tipo di fatto introduce un periodo di prova di 3 anni in cui il datore può licenziare senza pagare un’indennità, senza dare un minimo di preavviso e senza neanche motivazione. L’unica differenza è che Sacconi et al. mettevano questi articoli in un disegno di legge delega, mentre il governo Renzi li ha messi in un decreto d’urgenza, di efficacia immediata.
Lo strumento della legge delega è stato invece utilizzato dal Governo per “semplificare” e “riordinare” le diverse figure contrattuali, introducendo “eventualmente in via sperimentale” un contratto “a tutele crescente per i lavoratori coinvolti”. Forse in questo c’è il riferimento alla proposta di contratto a tutele crescenti più volte formulata su questo sito.
Il problema è che il decreto con la nuova prova triennale rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello da noi formulato. Un periodo di prova così lungo spiazza qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento come il nostro che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l’anzianità aziendale media in Italia è attorno ai 15 anni.
Inoltre il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato.
La nostra proposta, il disegno di legge depositato in Camera e Senato, aveva esattamente la filosofia opposta: ridurre le barriere, unificare laddove oggi c’è segmentazione.
Abbiamo già denunciato su lavoce.info come i vincoli burocratici introdotti dalla legge 92 abbiano ridotto le assunzioni. Quei vincoli andavano rimossi creando un percorso di ingresso nel mercato del lavoro che superasse l’attuale segmentazione. Invece con il decreto Poletti si è scelto di aumentarla ulteriormente: così il mercato del lavoro italiano sarà ancora più spaccato a metà.
La confusione è molta. Il governo deve ora scegliere. Se converte in legge il decreto rende improponibile l’art 4 della legge delega che introduce il contratto a tutele crescenti. Se invece vuole davvero facilitare la stabilizzazione graduale del lavoro, abbandoni il decreto e approvi in tempi brevissimi la legge-delega.
I motivi di urgenza con una disoccupazione giovanile sopra il 40 per cento ci sono tutti.
In ogni caso le due cose non possono coesistere: vanno in direzioni diametralmente opposte.