Il 20 marzo 1994 la giovane giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e l’operatore triestino Miran Hrovatin vengono uccisi a Mogadiscio, città contesa da due fazioni in lotta nella guerra civile somala scoppiata nel 1991 dopo la caduta del dittatore Siad Barre.
Da tempo Ilaria Alpi si stava documentando sul traffico illecito di rifiuti tossici e di armi provenienti dall’Italia e destinati alla Somalia. Per questo duplice omicidio il somalo Omar Hassan Hashi è stato condannato, con sentenza definitiva, a 26 anni di carcere. Si tratta però di un personaggio secondario, peraltro l’unico ad avere pagato per questa vicenda. La stessa Corte d’Assise ha però sottolineato la necessità di approfondire le altre piste indiziare emerse nel corso del procedimento, solo per citarne alcune:
la sparizione di 3 taccuini di Ilaria Alpi;
la sparizione di 5 cassette di materiale girato;
la manomissione del nastro con l’intervista al sultano di Bosaso, Mussa Bogor, tagliata al punto da essere resa incomprensibile. Si tratta di una manomissione professionale realizzata da un laboratorio. Dove e da chi?
la cancellazione della parte finale di un messaggio inviato da un agente italiano a Mogadiscio, il 21 marzo 1994, che informava che a Bosaso, qualche giorno prima, la Alpi aveva ricevuto minacce di morte;
la sparizione del certificato di morte della Alpi, stilato dal medico della nave Garibaldi. Il documento viene trovato in occasione di una perquisizione tra le carte di un ingegnere italiano autore di un progetto per sparare rifiuti sul fondale marino spinti da missili. Poi il certificato si perde una seconda volta;
la perizia necroscopica, sul corpo della Alpi, mostra i segni di un colpo a contatto o vicinissimo alla testa, un’esecuzione, aspetto che accentua il motivo della premeditazione dell’azione;
nel 1997 un colonnello della polizia somala che aveva svolto le prime indagini sul posto ha dichiarato che Ilaria Alpi è caduta in una trappola. Una telefonata l’aveva invitata a recarsi da un individuo. Esce assieme a Hrovatin, ma poco dopo l’inizio del viaggio in macchina giunge l’agguato mortale;
Nel 2002 durante il dibattimento, un agente del Sisde (ente soppresso nel 2007) ha dichiarato che l’omicidio sarebbe legato alle indagini della giornalista sui traffici illeciti, ma non ha rivelato la sua fonte di informazione.
Non sono solo questi gli elementi che rendono scottante la vicenda che chiama in causa una pluralità di soggetti. Non a caso è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta giunta a conclusioni opposte nelle relazioni di maggioranza e di minoranza.
La vicenda si inserisce sui precedenti aiuti italiani per la Somalia. In quei giorni del ’94, i quotidiani parlano di mala cooperazione. Svaniscono dal piatto 1.400 miliardi di lire che per buona parte non arrivano in Africa, ma si fermano nel nostro Paese, incastrati in un giro di corruzione e tangenti. Che fine hanno fatto i soldi? È questa una delle prime domande che si pone Ilaria Alpi.
L’ultima tragica missione di Ilaria Alpi inizia in Somalia l’11 marzo 1994, con un risicato budget concesso dalla Rai. Conosce bene il Paese africano, è ormai la settima volta che ci lavora come inviata. Il suo principale interesse è indirizzato sui traffici illeciti di armi e rifiuti tra Italia e Somalia. Per approfondire questi aspetti, il 17 marzo si sposta da Mogadiscio alla città portuale di Bosaso, nel nord del Paese, dove intervista il “sultano” Mussa Bogor, un uomo potente, chiacchierato per presunti legami con la pirateria, capace di controllare chilometri di costa e il traffico del porto, approdo delle navi della società Shifco, donate dall’Italia alla Somalia per sviluppare la pesca, ma sospettate di trasportare armi.
Alpi e Hrovatin il 20 marzo sono di nuovo nella capitale. Al telefono Ilaria Alpi riferisce al collega del Tg3 Flavio Fusi di avere scoperto “cose grosse, veramente grosse.” “Chissà se il servizio che vi manderò non possa agitare un po’ le paludi della politica italiana”. Fusi, incuriosito, chiede ulteriori dettagli, ma la Alpi lo blocca: “non posso dirti nulla al telefono”. In Italia mancano 7 giorni alle elezioni politiche, caratterizzate dalla comparsa sulla scena di Silvio Berlusconi che – in coalizione con la destra e con la Lega Nord – vincerà la competizione elettorale con il 42,8% dei consensi.
Poco dopo, in quel triste 20 marzo, è proprio Flavio Fusi a comunicare, con la voce spezzata dal dolore, la morte di Ilaria Alpi in una breve edizione straordinaria del Tg3. Da allora solo squarci di verità affogati in una nebbia di misteri e segreti. Nel 2007 il gip Emanuele Cersosimo rigetta la richiesta di archiviazione della Procura. La nuova istruttoria si concentra sui depistaggi che hanno inquinato la ricostruzione della verità. L’inchiesta si preannuncia enorme, dal momento che il Gip ha ritenuto necessario avviare 26 atti di indagine che mettono in rilievo l’inconsistenza dei primi accertamenti. Le tracce d’inchiesta – sulla base di nuove testimonianze – si stanno indirizzando attorno all’ipotesi di un omicidio premeditato, commissionato da un gruppo italo-somalo.
In precedenza due indagini, con esiti simili, delle Digos di Udine e di Roma additano tra i responsabili dei due omicidi alcuni italiani (fra questi un faccendiere, molto potente a Mogadiscio e in contatto con i servizi), il presidente della società Shifco, il signore della guerra somalo Ali Mahdi – con il quale la giornalista ebbe un’intervista molto tesa e bruscamente interrotta – ma non sarebbe estraneo nemmeno il sultano di Bosasa il quale aveva ammonito la Alpi ricordandole che, chi parla di trasporto di armi, finisce per lasciarci la pelle.
L’esito di queste due indagini è maturato coprendo, per garantirne la sicurezza, l’identità dei testimoni, che – rimanendo anonimi – non permettevano però di avviare un processo.
Lo scorso novembre Greenpeace Italia ha chiesto alla presidente della Camera, Laura Boldrini, di desecretare le carte presenti nell’archivio della Camera ricevendo una risposta affermativa. In questi giorni, l’associazione Articolo 21 e Change.org hanno avviato una raccolta di firme, con l’adesione di decine di migliaia di cittadini, per sostenere questa richiesta.
I documenti che potrebbero sbloccarsi sono circa 8.000 (fonte Tg3, 14 marzo 2014) e interessano il caso Alpi – Hrovatin, le ecomafie e il riciclo dei rifiuti. Su una parte di questi il segreto è stato apposto dalla Commissione d’inchiesta – ed è potere del presidente della Camera renderli pubblici – sugli altri il segreto è stato apposto dai servizi e in questo caso spetta al governo sbloccarne l’accesso.
Rendere pubblica questa mole di documenti (non è affatto scontata una derubricazione generale) sarà certamente un passo importante, per scoprire i numerosi depistaggi che hanno impedito di arrivare alla verità coprendo i responsabili dei traffici illeciti e del duplice omicidio.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vivono nella memoria collettiva della società civile, ma rischiano di morire una seconda volta se le istituzioni del Paese non riusciranno a dissotterrare i segreti che ancora avvolgono la loro morte.