Il quotidiano che copre le province di Rimini, Ravenna e Cesena è nel mirino della Guardia di finanza. I 28 professionisti del quotidiano di Giovanni Celli non hanno diritto di assemblea
In sedici anni di lavoro i giornalisti hanno dimostrato la schiena dritta. E la mantengono anche oggi, nonostante lo sguardo basso e i sei mesi senza stipendio, un direttore defenestrato dalla sera alla mattina, l’indagine della Guardia di finanza per capire come sono stati utilizzati i fondi per l’editoria che La Voce di Romagna ha ricevuto: oltre venti milioni di euro negli ultimi dieci anni. Loro, 28 in tutto, neanche lo hanno detto che da settimane non prendono più la busta paga. Vogliono salvarlo il giornale. Ma, soprattutto, nonostante il quotidiano sia formalmente edito da una cooperativa, loro, quelli che lo confezionano tutti i giorni, sono privati anche del diritto di assemblea. Perché sarà una cooperativa, forse, ma c’è un amministratore unico che fa da padrone. Si chiama Giovanni Celli, semplicemente Gianni, uomo vicino al centrodestra e della Voce proprietario. Come è tra i proprietari della cooperativa che deve al giornale cinque milioni e spiccioli.
Che la situazione sia irrespirabile, negli ambienti, lo sanno tutti. Prima è toccato ai collaboratori, decine di persone da Ravenna a Rimini, alle quali un anno fa è stato chiesto di rinunciare al compenso per i propri articoli pagati una miseria. Poi ai giornalisti assunti, ventotto in tutto, che da sei mesi lavorano senza vedere l’ombra di un centesimo. Sullo sfondo, un’indagine delle fiamme gialle che vuole fare luce sui conti della società editrice e su quelli della cooperativa proprietaria del giornale. Distribuito nelle tre province di Rimini, Ravenna e Forlì Cesena, La Voce ha redazioni e uffici di corrispondenza in tutte le città, ed è stato tra i primi a capire – insieme al Fatto Quotidiano – che l’affare che riguardava Josefa Idem era cosa seria.
Da mesi l’intera redazione è al verde, ma non parla. I ritardi nei pagamenti sono cominciati dopo l’estate del 2013. Poi la situazione è precipitata e oggi ci sono giornalisti che non vedono una busta paga da ottobre, nonostante ogni mattina si siedano davanti al computer per disegnare il quotidiano del giorno successivo. Anche per questo, a febbraio, la redazione ha deciso, per la prima volta in 16 anni di vita del giornale, di eleggere un comitato di redazione. Lo racconta Giovanni Rossi, presidente dell’Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti. “Circa un mese fa sono andato in Romagna per due assemblee, sempre convocate fuori dalla sede del giornale, poiché l’editore non gradisce la presenza del sindacato. Abbiamo così scritto all’editore, chiedendo la convocazione di un incontro, per discutere di un eventuale piano di crisi. La risposta però è sempre stata negativa”. Del resto la dinamica non è nuova alla Voce. I primi a sacrificare lo stipendio sono stati i collaboratori esterni, che a marzo del 2013 hanno ricevuto una lettera, scritta su carta intestata, in cui veniva chiesto di lavorare gratis. Motivo: il taglio dei contributi pubblici, la contrazione della spesa pubblicitaria, e il calo delle vendite.
In altre parole, si legge nella comunicazione, “tre negatività legate alla pesantissima situazione economica”. La firma in calce era quella quella di Celli, appunto. È lui nel 1998 ad aver fondato La Voce, per poi ricoprirne da sempre anche il ruolo di editore. Il suo è un nome noto nel riminese, ma non solo. Giovanni è il socio unico de La Voce srl, la società proprietaria della testata e che a sua volta è controllata al 100% dell’altra azienda di famiglia, La mia terra. Si tratta di una cooperativa, che però con carta e inchiostro ha poco a che vedere. Si occupa infatti della costruzione e dell’acquisto di immobili, ed è, tra le altre cose, proprietaria della Nuova ricerca, una clinica privata di Rimini. La situazione finanziaria della cooperativa è di sicuro meno disastrosa di quella de La Voce. La società editrice infatti ha chiuso il bilancio del 2012 con una perdita di oltre 1 milione e 259 mila euro. Solo un anno prima il passivo ammontava a 126 mila euro. Alla base del collasso anche la sospensione del finanziamento pubblico, che nel 2012 è stato congelato per i debiti della società con Equitalia. Resta da capire come un’azienda che in dieci anni ha ricevuto quasi 21 milioni di euro di contributi statali (l’ultima tranche, del 2011, ammonta a 1.587.000 euro) oggi non riesca a pagare gli stipendi di una trentina di persone. Anche su questo si sta concentrando la finanza, impegnata in accertamenti dopo aver ricevuto un esposto. Nel testo si denunciano alcune anomalie nei conti delle due società di Celli. Sotto la lente anche un credito che da anni La Voce vanta nei confronti de La Mia Terra. E che oggi supera la cifra record di 5 milioni e 200 mila euro.
Da il Fatto Quotidiano di giovedì 20 marzo 2014
Aggiornato dalla redazione web alle 20.19 del 20 marzo 2014