Non so se a infastidire di più siano l’arroganza con la quale questo Governo e i suoi consulenti trattano la materia delle pensioni oppure la implicita visione distruttiva della previdenza che le loro parole e i loro silenzi esplicitano.

Da giorni ormai rimbalzano tra il commissario Cottarelli e rappresentanti del Governo voci di ulteriori prelievi sulle pensioni e le smentite sono di solito peggiori delle prospettive di tagli; Renzi nello smentire ha sentito il dovere di precisare che non sono all’esame tagli sulle pensioni da 2-3 mila euro, il che significa che chi ha un netto mensile sopra a 1.500 – 2.000 euro può continuare a preoccuparsi. Ieri la ministra Madia ha dichiarato di avere proposto da parlamentare che lo stato trattenga il 50% delle pensioni a coloro che continuino un’attività lavorativa dopo avere conseguito la pensione.

L’arroganza è insita nell’approccio quantitativo che rifiuta testardamente di ragionare sulla variopinta galassia delle pensioni per distinguere tra assistenza necessaria o assistenza clientelare e tra previdenza generosa (pensioni superiori ai contributi) o penalizzata (pensioni inferiori ai contributi). È arrogante chi taglia corto, vuoi per ignoranza o per pigrizia, classifica tutte le pensioni come benefici usurpati e come tali le ritiene soggette alla discrezionalità del Governante, il quale può decidere se mantenere la sua benevolenza assistenziale oppure graduarla in funzione delle necessità dello Stato o magari dell’umore col quale si sveglia al mattino. L’arroganza è infine nell’arroganza di ministri e consulenti, i pensionati sono come il popolo del Re Sole ai quali essi, da monarchi, regalano pane oppure lo negano.

Peggio ancora dell’arroganza preoccupa il fatto che quella visione feudale che ministri e dotti consulenti mostrano ha alla radice una visione dello Stato nel quale la previdenza non è prevista; l’avere accantonato contributi per 35-40 anni e oltre e ricevere pensioni inferiori a quanto dovrebbero (è il caso di parecchie delle pensioni elevate dei lavoratori dipendenti del privato) non è considerata opera lungimirante, di respiro sociale e da incoraggiare quotidianamente, bensì una prassi da vessare ad arbitrio con prelievi temporanei o, peggio, definitivi, quale la de-indicizzazione che non chiede un contributo una tantum ma taglia di fatto per tutta la vita, mettendo a nudo le vere intenzioni dei governanti: altro che sacrifici temporanei motivati dalla situazione di crisi, si tratta piuttosto di un attacco strutturale e ben organizzato al concetto stesso di previdenza.

Nella visione sociale di questi ministri e consulenti la pensione non è il risultato di un contratto siglato 40 anni prima e che prevede che lo Stato restituisca tutti i contributi sotto forma di vitalizio, senza se e senza ma, indipendentemente dalla sua entità e dal fatto che il pensionato continui a lavorare oppure si faccia pagare la sua pensione in qualche paradiso caraibico dove riposi tutto l’anno. Per questi apprendisti stregoni, al centro del rapporto stato/cittadino in materia di pensioni c’è il concetto di assistenza: lo Stato incamera tutto e poi re-distribuisce a propria discrezione; triste, che nel 2014 ancora si vedano i cittadini come una massa di persone da assistere o meno a discrezione dello Stato e ci si rifiuti di rispettare e riconoscere l’importanza sociale dei sistemi previdenziali a natura assicurativa, triste e storicamente superato.

I pensionati con assegni elevati, ma anche quelli con assegni dignitosi non hanno remora alcuna a dare il proprio contributo in un momento di crisi ma sono anche offesi dagli approcci alla Cottarelli o alla Madia; sono stufi innanzitutto di essere dipinti come sanguisughe che succhiano la linfa della nazione o come egoisti che solo a sé stessi vogliono pensare in un periodo di crisi; non sono affatto restii a contribuire in questa fase di sacrifici, ma vorrebbero semplicemente che i sacrifici fossero richiesti in misura uguale a tutti i percettori di medesimo reddito e non ai soli pensionati in maniera arbitraria e discriminatoria, trattandoli come assistiti cronici quali non si sentono e non sono. Si potrebbe cominciare magari dalla retribuzione di Cottarelli che sembra avere ben più capienza per la solidarietà che non le pensioni da 90.000 € annui, o dalle retribuzioni dei ministri.

Ancora una volta, la via per una solidarietà equa e non imposta con arroganza passa solamente da una tassazione più alta di tutti i redditi elevati (auspicabilmente temporanea), tramite l’incremento dell’ultima aliquota fiscale oppure, volendo rimanere confinati al sistema pensionistico, da un ricalcolo serio e dettagliato degli assegni con il sistema contributivo, come peraltro già proposto seriamente dagli economisti de Lavoce.info o dall’Unione Nazionale Pensionati, a cui far seguire interventi razionali e mirati in maniera progressiva in modo da salvaguardare le pensioni particolarmente basse.

Messo in atto uno degli interventi o meglio entrambi, oltre a conseguire i risultati necessari in termini di contribuzione solidale e di equità previdenziale, si toglierebbero dal tavolo sia il dubbio che i pensionati non vogliano contribuire, sia interventi torbidi quali la de-indicizzazione, sia l’opportunità ai Cottarelli e Madia di turno di sparare nel mucchio. Vuoi per ignoranza della realtà previdenziale o, peggio, per volontà di destabilizzare alla base i criteri fondanti della previdenza per sostituirli con un’assistenza sempre più diffusa. In realtà si scoraggiano l’assistenzialismo professionale e l’insediamento di sistemi previdenziali autonomi e realizzare nell’immediato una profonda iniquità sia nell’ambito della capacità contributiva dei cittadini (tartassati i pensionati, lasciati tranquilli gli altri) che in quella previdenziale, penalizzando insieme ai vitalizi generosi anche quelli già abbondantemente penalizzati in partenza.

Se Cottarelli e Madia rappresentano il nuovo che avanza per la “svolta buona”, meglio tornare subito indietro.

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