Nella loro villetta di via Dario Campana a Rimini un tubo dell’acqua in giardino si era rotto, a loro insaputa. Hanno capito che qualcosa non andava solo quando Hera, nel 2009, ha spedito loro la bolletta-monstre: 22mila euro. Alla fine non hanno dovuto pagarla, ma solo dopo una battaglia legale durata quasi cinque anni: Hera infatti, almeno in parte, quei soldi li voleva. I protagonisti di questa avventura pressoché unica in Emilia-Romagna sono i componenti di una famiglia riminese, padre, madre e figlio piccolo. Il lieto fine è arrivato solo il 5 febbraio scorso, quando il giudice civile del tribunale di Rimini ha stabilito l’insussistenza del credito rivendicato dall’utility bolognese rilevando, in sostanza, che alla famiglia in questione era stato fatturato in un anno quello che di solito in casi analoghi si fattura in 102 anni. Hera, che non ha fatto ricorso, è stata condannata a pagare le spese legali, pari a 2.700 euro, ma non il risarcimento che la famiglia aveva chiesto.
Dato che il fondo fughe avrebbe coperto solo 6mila euro, la famiglia aveva strappato ad Hera uno sconto di 11mila euro ma il conto restava comunque troppo salato. In un primo passaggio di fronte al giudice, Hera aveva abbassato ulteriormente la sua pretesa a 6mila euro ma l’avvocato della famiglia, Gianni Baietta, ha scelto di tirare dritto. “Il mio cliente- racconta Baietta- si era accorto di questo consumo anomalo perché il letturista di Hera si era recato da lui e gli aveva anticipato che la bolletta successiva sarebbe stata a credito. Invece, così non è stato”.
E’ emerso, tra l’altro, che il letturista aveva sbagliato a leggere il contatore. “In questa causa- prosegue l’avvocato riminese- si è portata avanti la tesi secondo la quale Hera nella modulistica inviata agli utenti non informa correttamente il cittadino sulle auto-letture che può effettuare e dei rischi connessi alle fughe idriche, e la stessa multiutility si era difesa dicendo che il privato poteva controllare da solo il contatore e accorgersi della perdita”. Sta di fatto che dopo quasi un lustro anni è arrivata a Rimini la sentenza di primo grado, che ha stabilito come la condotta di Hera non sia stata improntata esattamente alla buona fede. Questo perché l’utility non avrebbe adottato contatori in grado di rilevare in automatico i consumi anomali, come accade solitamente per l’energia elettrica o la telefonia.
Anche se qualche caso di mega-bollette inviate a seguito di guasti tecnici si è verificato negli ultimi anni anche dopo l’esperienza di via Dario Campana, richiedendo uno sforzo eccezionale di conciliazione tra le parti, da parte sua l’utility assicura di essere da tempo al lavoro per evitare infortuni di questo tipo. Di fronte al montare della vicenda riminese, Hera ha comunicato di aver preso atto della sentenza “riguardante un evento specifico risalente ormai a 5 anni fa che, per le sue peculiarità, non si presta comunque in alcun modo a rappresentare un precedente in materia”. L’azienda ha detto di essere “conscia della delicatezza del tema” e segnalato di aver comunque implementato “diverse azioni volte a prevenire situazioni come quella oggetto della sentenza”. Tra le azioni attivate, l’utility ha citato “la comunicazione tempestiva tramite lettera inviata ai clienti che registrino consumi anomali rispetto alla media dei periodi precedenti, in modo da consentire un puntuale monitoraggio di eventuali fughe”.
Ma quella delle bollette non è l’unica spina nel fianco di Hera in Romagna. Se il board dell’utility ha approvato ieri il suo 11esimo bilancio consecutivo col segno più, in vista dell’assemblea dei soci del 23 aprile, coi dividendi confermati a 9 centesimi ad azione (salgono soprattutto i profitti, col margine operativo lordo al +25,5% e gli utili netti a 182 milioni di euro) sono i sindaci della provincia di Forlì-Cesena ad aver qualcosa da ridire. In questo caso i riflettori sono puntati sulla maxi sanzione dell’Antitrust (1,9 milioni) per abuso di posizione dominante di Hera, che ha fatto ricorso, nell’ambito della raccolta della carta.
Ebbene, tutti i sindaci dell’area hanno chiesto ad Atersir, l’agenzia territoriale dei servizi, di verificare “qual è stato il maggior costo a carico dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena per il conferimento dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata della carta a causa della condotta seguita dal gestore”. A questa richiesta si accompagna quella di “stabilire adeguate procedure per garantire il recupero di tali maggior costi”. In buona sostanza, oltre alle famiglie fanno causa anche i Comuni.