All’amministratore delegato delle Fs, Mauro Moretti, che è un ottimo manager, consigliamo prudenza. L’affermazione che se lo Stato taglia i superstipendi buona parte dei suoi manager se ne andranno, lasciandoci soli nella valle di lacrime a sopportare l’inevitabile peggioramento del servizio ferroviario, ha quattro caratteristiche invero perniciose. 1) Non fa paura a nessuno. 2) Non è nuova. 3) Porta male. 4) Non ha senso.
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L’idea che le Fs, abbandonate dai suoi manager offesi per il taglio del loro superstipendi, possano ulteriormente peggiorare il loro servizio, più che timore suscita curiosità. E’ probabile che la stragrande maggioranza dei pendolari italiani riterrebbero necessario un supermanager superpagato più che altro per la sfida impossibile di riuscire a peggiorare le cose. La minaccia di Moretti non fa paura.
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La discussione pubblica sugli stipendi a volte osceni dei manager, pubblici e privati, è iniziata con la grande crisi finanziaria mondiale, nel 2008. Già allora Alessandro Profumo, che aveva guadagnato nel 2007 9 milioni di euro, pari a 25 mila euro al giorno, domeniche comprese, pari alla retribuzione media dei lavoratori italiani (ma non al giorno, all’anno), fece l’offeso: “Ritengo che ognuno debba essere pagato secondo il merito e secondo il mercato”. La rivendicazione di Moretti non è nuova.
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Poco dopo questa intervista avvenne la nemesi: cacciato in malo modo da Unicredit, Profumo fu ignorato da tutte le grandi banche straniere che, a suo dire, erano in coda per prenderselo, costringendo gli azionisti Unicredit a trattenerlo a suon di milioni di euro. Il banchiere genovese si è poi ricollocato al Monte dei Paschi come presidente “agratis”, e gli azionisti Unicredit si mangiano le mani pensando che a botte di nove milioni all’anno hanno pagato una prestazione oggi misurabile con i 14 miliardi di perdita messi in bilancio nel 2013 dopo le doverose svalutazioni delle banche da lui comprate a peso d’oro in giro per l’Europa e per l’Asia. Dire che c’è il mercato che ti attende a braccia aperte porta male (come già insegnava in tempi non sospetti la scena iniziale del film Ghostbusters).
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Le Fs rivendicano di essere un’azienda che sta sul mercato, e ogni pendolare sa infatti che i treni regionali sono sempre puntualissimi per non rischiare che il cliente lasci indignato la pensilina per chiamare la limousine. Moretti no, non è sul mercato. Egli è dipendente delle Fs dal 1978 non ha mai avuto un altro posto di lavoro, nessuna azienda l’ha mai strappato a un altra a suon di soldi. Il fatto che in 36 anni solo uno dei circa 200 mila dipendenti di allora delle Fs sia arrivato a guadagnare 850 mila euro all’anno significa che Moretti, che pure è davvero bravo, ha pescato l’unico jolly del mazzo, non che è emerso in un regolare percorso meritocratico. Quindi #stiasereno. Se per caso Matteo Renzi gli abbasserà lo stipendio – cosa comunque improbabile e forse anche illegittima – avrà subito una cosa che decine di migliaia di manager grandi e piccoli hanno già subito almeno una volta nella vita: si sono rimboccati le maniche e se la sono giocata. Si chiama flessibilità, caro ingegner Moretti, e, come milioni di precari sanno, non c’è flessibilità senza pazienza. D’altra parte, di che si lamenta? E soprattutto, perché non si è ancora dimesso per andare a guadagnare il triplo in Germania? La risposta è nota. Moretti – e in questo non c’è nessuna ironia – ama servire il suo Paese, al punto che lo serve per soli 850 mila euro anziché i 2,5 milioni che ritiene di meritare. Per questo la sua protesta non ha senso: noi tutti, anime semplici non amministratori delegati, pensiamo che si possa servire con amore il proprio Paese anche per soli 248 mila euro all’anno, senza fatica, visto che questa povera Italia è piena di gente che serve il Paese, non sempre ma spesso con amore, per 20 mila.