Alla stazione Leopolda di Firenze per degustare i tanti campioni delle nuove annate di Chianti Classico, Chianti Classico Riserva e la neonata Gran Selezione
Tra Firenze e Siena ci sono circa 10mila ettari vitati, di cui 7200 iscritti all’albo del Chianti Classico e dunque atti a produrre uno dei vini più noti d’Italia e del mondo, per quanto non sono in molti a ricordare che esso da una ottantina d’anni si differenzia dal Chianti (senza Classico). Come disse l’ex presiedente del Consorzio, Marco Pallanti: “Oggi chiamiamo Chianti un vino che si produce al di fuori della zona del Chianti, e Chianti Classico un vino che si produce nella zona del Chianti”.
Le vigne del Classico sono quelle che per buona parte si trovano in un’area già delimitata nel 1716 dal Granduca di Toscana Cosimo III, e comprende (in parte o in toto) i comuni di Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Greve in Chianti e Radda in Chianti, Barberino Val d’Elsa, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi, San Casciano Val di Pesa e Tavarnelle Val di Pesa. Il Chianti Classico è venduto in oltre 50 paesi, per una media annuale di 35 milioni di bottiglie: solo il 20% resta in Italia. Il 31% delle bottiglie è commerciato negli Stati Uniti, mentre un 10% va in Germania e un altro 10% in Canada.
Si tratta di un vino di qualità, che prima di ogni altro ha rappresentato l’eccellenza italiana nel mondo e la difficoltà che si incontrano nel preservarla, e non solo da truffe o polemiche, ma anche da semplici strategie di produzione. Infatti dallo scorso anno il Consorzio ha approvato una serie di modifiche al disciplinare di produzione, fra cui la più rilevante è stata presentata a Firenze giorni fa: l’introduzione di una nuova tipologia di Chianti Classico, la cosiddetta “Gran Selezione“. Una tipologia nuova, pericolosamente anacronistica, che dovrebbe a collocarsi al vertice della piramide di qualità del Chianti Classico, al di sopra della categoria “Riserva”. La questione ha fatto molto discutere i produttori. Dunque, anziché addentrarsi in un progetto di “zonazione”, ossia dei micro-caratterizzazione delle aree vocate, il Consorzio torna a porre l’accento sulla scelta delle migliori uve. Sminuendo di conseguenza il valore del Chianti Classico Riserva.
D’altra parte c’è da dire che invocare oggi la zonazione del Chianti Classico, come fanno tanti degustatori internazionali che per anni hanno celebrato vini poco riconoscibili e ora vorrebbero trovare la Borgogna sui poggi toscani, significa ignorare la storia e lo sviluppo di un territorio che non ha mai prodotto un vino da monovitigno.
Ad ogni modo, questa “Gran Selezione” (locuzione inviolata da qualsivoglia redattore pubblicitario coevo) dovrà essere il prodotto dell’uva di una singola vigna o la selezione delle migliore uve aziendali, un fatto alquanto poco sorprendente, e comunque dovrà “invecchiare” per un minimo di 30 mesi (di cui almeno 3 in bottiglia), quindi 6 mesi d’invecchiamento in più di un Chianti Classico Riserva. Ossia un vincolo alquanto pericoloso e, nel caso del Chianti, per niente necessario a migliorare la qualità del vino.
C’è poi la questione, opportunamente sollevata da SlowFood, della rispondenza di una tale tipologia a parametri quantitativi: “Per quanto concerne la definizione di GS attraverso caratteri chimico-fisici, la descrizione fornita dall’enologo Franco Bernabei, uno dei tecnici chiamato a focalizzare l’aspetto della Gran Selezione, appare anacronistica. Ma davvero si pensa che maggiori siano i valori del grado alcolico, dell’acidità, del PH o di qualsiasi componente del vino in oggetto, maggiori saranno le caratteristiche qualitative del vino in questione?”
Non resta che parlare dei vini che, come ogni anno, abbiamo assaggiato alla presentazione elle nuove annate in anteprima:
Chianti Classico Gran Selezione: la neonata categoria ha presentato vini più concentrati ma anche più rischiosamente maturati. Per il resto i Chianti Classico Gran Selezione mostrano tutte le ingenuità stilistiche e i difetti enologici delle altre categorie: vini esteticamente poco riusciti, al solito vittima di inette maturazioni in barricche e goffi assemblaggi con vitigni internazionali che, pur ammessi nel disciplinare da tanti anni, ancora non riescono a convincerci. Dato che svisano le peculiarità di un vino, il Chianti Classico, che dovrebbe spiccare per unicità e riconoscibilità. I vini non di rado passano dall’essere immaturi e “verdi” all’essere surmaturi e dolciastri, forse meno che in passato. L’effetto “dolce amaro”, dovuto alla combinazione surmaturazione + barricche, si va lievemente attenuando. I vini sono anche meno vittime di ossidazioni pacchiane. Ma i produttori hanno difficoltà col cambiamento climatico, sicché, i Chianti riescono grossi: con alcol prepotente già al naso.
Annate:
2010: fredda e difficile, vini poco compiuti e ispidi, a parte qualche rara eccezione che bisogna comunque aspettare
2011: calda, mediamente buona, migliori vini non troppo complessi ma profondi, gli altri attestano la differenza fra maturazione fenologica e maturazione zuccherina/alcolica
2012: molto calda e poi piovosa prima della vendemmia, mediamente buona: vini molto profumati, ma meno strutturati e complessi del 2011
Segnaliamo, in ordine non casuale:
Chianti Classico Gran Selezione
“Vigna del Capannino” 2010 – Bibbiano, azienda che si va affinando, dopo qualche anno di incertezza. È la migliore delle Gran Selezioni, seppur l’azienda deve perfezionare l’affinamento in legno.
Lama della Villa 2010 e Vigna Grospi 2011– Fattoria di Lamole: vini non molto complessi ma freschi e riconoscibili, non privi di qualche ingenuità. L’azienda può migliorare e speriamo che lo faccia.
Liliano 2010 – Tenuta di Liliano: al naso non perfettamente riuscito, è comunque riconoscibile per quanto dichiari un 10% di “altri vitigni”, dunque lo si potrebbe qualificare come “diversamente tipico”. Anche lui tradisce qualche imperfezione nella maturazione in legno, ma il finale è fresco e piacevole.
Chianti Classico Riserva
Lamole di Lamole: 2010: al profumo molto caratteristico, al gusto è ampio e ha carattere ma si perde nel finale, asciutto e alcolico. Un buon vino comunque.
Val delle Corti: 2011: molto riuscito al naso e un poco meno alla bocca che ha un finale troppo asciutto. Comunque un vino di corpo e personalità.
Le Stinche 2010 – Fattoria di Lamole: vino flebile, ma elegante e largo, con alcol non perfettamente integrato.
Castellare di Castellina 2011: composto ed equilibrato, azienda tecnicamente sempre molto vigile, se non fosse per un finale un poco troppo asciutto ed alcolico. Vino persistente.
Chianti Classico 2012
Monteraponi: uno dei migliori vini assaggiati quest’anno. Fresco persistente e varietale, senza mancare di polpa. Peccato che la Riserva 2010 Baron Ugo non sia così riuscita.
Isole e Olena: l’azienda fa un ottimo lavoro e lo si comprende anche assaggiando questo vino che ha corpo ed equilibrio, anche se pecca un poco in riconoscibilità, con l’uso del vitigno Syrah (sommato alla speziatura del Canaiolo)..
Fattoria San Giusto a Rentennano: buon vino, che non spicca per complessità ma è quasi armonico e con meno tannino del solito. Caratteristico.
Castellare di Castellina: buona complessità per un vino che sembra più riuscito alla bocca che al naso, dove tradisce ingenuità di maturazione in legno. Gustoso.
Rocca di Montegrossi: fresco e riconoscibile al naso, fresco e sapido alla bocca, è ampio e caratteristico. Se non fosse per l’alcol, che non è integrato nel corpo del vino, e per un filo di amarezza nel finale, sarebbe eccellente.
Chianti Classico 2011:
Isole e Olena: ottimo vino, lungo e succoso. Meno riuscito al naso che alla bocca. Saporoso.
Val delle Corti: molto sapido e possente, è buono, pur se gli manca un po’ di finezza.
San Felice: riconoscibile e strutturato, non finissimo, sapido. Un poco dolce alla bocca. Tecnicamente ben fatto.
Le Cinciole: un vino polputo e non sconnesso, ma un poco surmaturo e alcolico come nello stile del produttore
Chianti Classico 2010
Castell’in Villa: il migliore dei vini in degustazione, emblematico e intenso e complesso. Da non perdere