“Non è solo compito nostro”. È questo, in estrema sintesi, il messaggio che si legge fra le righe della lettera che l’Acea (associazione europea dei costruttori automobilistici) ha inviato al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy in occasione dell’incontro del 20 e 21 marzo a Bruxelles. “I leader politici europei dovrebbero garantire condizioni e obiettivi equivalenti per tutti i settori dell’industria. Nessuno ha fatto tanto per abbassare i livelli di emissioni come il settore dell’auto”, si legge sulla lettera firmata dall’Acea, del cui consiglio direttivo fanno parte i numeri uno delle principali Case automobilistiche, fra cui anche l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne e il presidente del marchio Iveco, Lorenzo Sistino. L’Acea vorrebbe “lavorare con i legislatori per contribuire agli obiettivi sul clima e l’energia per il 2030 e oltre” ma non nasconde la paura che “gli obiettivi sui gas serra e le energie rinnovabili siano posti alle spese della crescita industriale”.
Hanno ragione le case automobilistiche quando dicono di aver fatto tanto? Sì, perché davvero al settore sono stati chiesti sforzi titanici: secondo Jato Dynamics, nel 2013 le emissione medie delle auto immatricolate in Europa sono scese di un altro 4,1% rispetto al 2012, a 126,8 g/km di CO2. Grazie agli ambiziosi obiettivi comunitari (e alle leggi severe), le auto vendute in Europa sono in assoluto le meno inquinanti del mondo: secondo l’Acea, una macchina degli anni 70 produceva in media cento volte gli inquinanti di una vettura moderna e faceva dieci volte più rumore. Non a caso, il 25% degli investimenti in ricerca e sviluppo di tutta l’industria europea è concentrata nel settore automobilistico e il 55,6% dei brevetti registrati in questo campo nel 2012 proveniva proprio dal Vecchio Continente.
Il problema, però, è che il trasporto è una delle voci più inquinanti nell’elenco delle attività umane. Secondo la Commissione europea per il clima, il settore dei trasporti (compresi treni e aerei) causa un quinto delle emissioni di gas serra nel Continente; soltanto la produzione di energia inquina di più. In particolare, il trasporto su strada provoca quasi il 18% delle emissioni totali. E purtroppo l’andamento è in salita: “Mentre le emissioni degli altri settori stanno generalmente calando”, si legge nella relazione Routes to 2050 pubblicata a luglio 2012, “quelle dei trasporti sono aumentate del 29% dal 1990 al 2009 nonostante il miglioramento dell’efficienza dei veicoli, perché crescono il trasporto di persone e merci”. Anche se i mezzi di trasporto consumano meno, insomma, li usiamo sempre di più.
L’industria dell’auto e la Commissione europea per i trasporti faticano a dialogare semplicemente perché hanno priorità diverse, e in parte opposte. L’Acea punta alla crescita industriale e alla competitività su scala globale: nella sua lettera al presidente del Consiglio Van Rompuy fa notare che l’industria automobilistica occupa in Europa, direttamente e indirettamente, quasi 13 milioni di persone – il 5,3% della forza lavoro – e, se liberata da tante imposizioni, può aiutare il Vecchio Continente ad uscire dalla crisi. Ma la Commissione per i Trasporti ha altro in mente: entro il 2050, l’Europa deve ridurre le emissioni dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990 per contrastare la dipendenza dal petrolio. Uno degli obiettivi per il 2050 contenuti nel Libro bianco sui trasporti è “dimezzare entro il 2030 nei trasporti urbani l’uso delle autovetture alimentate con carburanti tradizionali ed eliminarlo del tutto entro il 2050”. Discorso analogo per i mezzi pesanti: l’Europa vuole spostare il 30% del trasporto merci su gomma (per le percorrenze superiori a 300 km) verso la ferrovia e le vie navigabili entro il 2030. Tutto questo, per le Case, significa contrazione delle vendite di veicoli ai privati e, contemporaneamente, maggiori costi di ricerca e sviluppo.