Dopo aver lavorato all'estero, Massimo Guarini è tornato per aprire a Varese la sua software house. Perché è convinto che i giochi made in Italy possano affascinare il pubblico come quelli stranieri
A volte i cervelli fuggono dall’Italia, a volte invece ritornano, e magari anche più agguerriti. Non molti avrebbero scommesso su un ritorno a casa di Massimo Guarini, dopo più di dieci anni di successi e riconoscimenti all’estero. Tutto è cominciato in Italia, più precisamente a Milano, dove sul finire degli anni ’90 Guarini è entrato in Ubisoft come game designer. Da lì al rendersi conto che il suo talento sarebbe stato valorizzato molto di più all’estero il passo è stato breve. Non è un segreto infatti che lo sviluppo dei videogiochi in Italia si trovi in uno stato pesantemente arretrato rispetto a quanto si può vedere nel resto d’Europa, con Inghilterra, Francia e Germania ai primi posti, seguite a stretto giro anche da Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Polonia.
Dopo aver lavorato per qualche tempo nella sede di Milano, su brand ben noti come Tomb Raider e Rayman, Massimo si è spostato prima in Canada, sempre sotto il marchio Ubisoft, dove ha proseguito con successo la sua carriera occupandosi di altri brand celebri, tra cui Naruto e Rainbow Six, per poi ripartire alla volta del Giappone. Lì ha incontrato Goichi Suda, meglio noto come Suda51, estroverso e celebre game designer di fama internazionale, e ha lavorato a strettissimo contatto con lui nella creazione di Shadows of the Damned, gestendo l’intero aspetto creativo della produzione, insieme ad altre personalità straordinarie dello sviluppo dei videogiochi in Giappone come Akira Yamaoka (compositore noto per le musiche della saga di Silent Hill) e Shinji Mikami (uno dei creatori della serie di Resident Evil). Un talento, quello di Massimo, indiscutibile, che come per tanti altri ha trovato solo fuori dall’Italia le condizioni giuste per emergere ed essere valorizzato. Potrebbe apparire come l’inizio di una tra le tante storie di cervelli in fuga dal nostro paese ma, a cavallo tra il 2011 e il 2012, qualcosa è cambiato. Portato a termine con successo il suo incarico in Giappone, Massimo ha deciso di tornare in Italia, con un’idea ben precisa in testa. Dimostrare che, anche nel nostro paese, lo sviluppo dei videogiochi può essere una realtà credibile.
L’incontro nel 2012 con Gianni Ricciardi, compositore veterano nell’industria del videogame e non solo, ha trasformato quell’idea, quel desiderio, in realtà: fare videogiochi in Italia partendo da zero. Un’impresa in cui oggi pochissimi nel nostro paese si cimentano, in netta controtendenza con tutto il resto d’Europa, dove le giovani software house sono in netto aumento. Così è nata Ovosonico, di stanza a Varese, gli ampi uffici distribuiti ordinatamente sui quattro piani di una splendida villa indipendente. Un luogo dove la creatività viene messa al primo posto tra gli aspetti da valorizzare, dove le ore di lavoro possono alternarsi a momenti più rilassanti e di condivisione con i colleghi. Ma cosa ha convinto Guarini a tornare in Italia? Una buona dose di testardaggine e un sogno da realizzare, la volontà di dimostrare che i videogame made in Italy possono non solo esistere, ma anche affascinare il pubblico con la stessa intensità di quelli stranieri. La speranza è naturalmente che la produzione firmata Ovosonico si riveli degna di successo, e che questo funga da esempio per i moltissimi talenti nostrani nell’ambito della programmazione e dello sviluppo creativo dei videogame.
A cura di Andrea Porta