Il mio mondo ideale di riferimento è il seguente. Io ho un amico storico a cui piace la politica e piace (anche) far politica. È sempre stato il più sveglio di tutti noi, quello con la battuta velocissima, adesso si dice smart, dagli asparagi all’immortalità dell’anima (cit. Achille Campanile). Io sto meglio di lui economicamente, direi molto meglio, ma questo nella vita non ci ha mai creato problemi. Anzi sì, ma poi vi dico. Siccome non voglio metterlo in difficoltà, per convenzione questo mio amico lo chiameremo Matteo.
A Matteo dunque piace così tanto la politica che gli sembra persino possibile passarci la vita, in politica. Nessuno di noi amici si sognerebbe mai, ma lui ci ha sempre creduto. Non abbiamo ancora capito da che parte sta, se a destra o a sinistra, ma al fondo anche questo è un dettaglio. Molto di sinistra no, tutta quella menata lì dei boy-scout, della santa messa la domenica, a un certo punto è spuntata persino la Margherita – gli chiedevamo: ma cos’è ’sta Margherita, Matteo, e lui ci ha sempre risposto che era una furbata di sinistra per non dirsi comunisti. Ma comunque non è più un problema, adesso è addirittura il segretario del Partito Democratico e noi amici ci rovesciamo dalle risate.
Insomma, fatto sta che un bel giorno si inventa presidente della Provincia, proprio quella cosa lì che ha sempre detto che non serviva una mazza, poi si mette in testa l’idea pazzesca di andare a Palazzo Vecchio e noi al bar a dirgli: ok Matteo, va bene Matteo, sì, d’accordo Matteo…
Com’è finita lo sapete. È andato a Palazzo Vecchio e noi contenti eh, ma anche un filo increduli.
Il Matteo abita poco fuori Firenze, una ventina di minuti dal centro, e a casa torna spesso. Capita però che ogni tanto gli tocchi tirar tardi in Consiglio o per qualche altra menata e allora da lì è nata l’esigenza di trovarsi un buco in città per dormire. Si è trovato un posticino carino, solo che dopo un po’ lo ha dovuto mollare, mille euro al mese, questi fiorentini ti succhiano il sangue per un locale e cucina.
Allora gli ho detto: o’ Matteo, ma perché non vai a casa mia, io ci sto e non ci sto (ok, va bene, non ci sto), ti ci metti tu, sereno, riposato, la casa è bella, affacci meravigliosi, quando vuoi, quando fai tardi in Consiglio, queste sono le chiavi, ti metti nell’armadio un paio di vestiti, due-tre camicie, qualche paio di mutande e stai come un papa. Lo spazzolino, nuovo, è già nel bagno.
Prima ancora che dicesse ba, che potesse parlare anche solo di mezzo problema politico, di un minimo imbarazzo, l’ho preso da parte e gli ho detto: guarda Matteo, qui le condizioni sono molto, molto, chiare, nel senso, appunto, che non ci sono condizioni, né problemi, noi siamo amici fraterni e questa è l’unica risposta se qualcuno dovesse malignare.
E poi, malignare di cosa. Capirei se io avessi una carica in qualche partecipata del Comune, se dovessi lavorare per qualche società anche vagamente riconducibile al sindaco, ma non c’è nulla di tutto questo, io faccio altro. E poi, scusa: ti sembro così rincoglionito, così irresponsabile, che ti offro di venire a casa mia, di non pagarmi l’affitto, e poi sto dentro in qualche inguacchio comunale? Ma non esiste, Matteo, ti rovinerei!
Fatti una bella dormita, dài, che ho il materasso ad acqua. Buonanotte.
Ps. Questa è una ricostruzione molto attendibile, totalmente attendibile, di come (non) si sono svolti i fatti.