Il Jobs Act , come fa notare Chiara Saraceno in un suo articolo, precarizza ulteriormente le nostre vite. Le frantuma, ci rende ricattabili. Il capitale si muove a livello globale. C’è libertà di circolazione per le merci, ma non per gli esseri umani. Se parlo di ammortizzatori e regole a garanzia di chi lavora mi dicono che gli imprenditori sono liberi di chiudere e delocalizzare e allora bisogna sottostare ai loro capricci.
Il Jobs Act di Matteo Renzi è perciò solo l’ultima botta che serve a togliere garanzie ai lavoratori. È il solito modo per agevolare i ricchi e rendere più schiavi i poveri, ovvero quelli che con il proprio lavoro, realizzano una ricchezza che si misura nelle Ferrari che i ricchi esibiscono qui e là.
Conosco tutta la retorica che ti rifilano i politici filoimprenditori per dirti che se vuoi lavorare ed essere anche pagata per questo sei un po’ fuori moda. Bisogna essere intraprendenti, scordarsi il posto fisso e congelare l’intelligenza. Sicché vorrei si capisse bene qual è la prospettiva e cosa significa per una persona precaria essere “alla moda”.
Tu nasci, cresci (consumi e crepi), studi, cerchi lavoro e non ne trovi solo uno, ne provi perfino tre, da svolgere lo stesso giorno, tutti precari e li svolgi con tenacia perché speri che almeno uno di questi ti servirà a realizzare qualcosa di più duraturo. Fai l’impiegata, la cameriera, la lavacessi, la cubista, la creativa, la commessa, la ricercatrice, la sex worker, la consulente, la rappresentante, l’animatrice, la comparsa nei convegni politici, la influencer, la addetta stampa, la segretaria, usi il computer, sai fare un sacco di belle cose, e ancora studi, ti aggiorni, ti prepari, ma sempre precaria resti. Guardi con tenerezza ragazze e ragazzi che perdono tempo prezioso a leccare il culo a docenti e capi, nella speranza di una migliore collocazione, poi vedi crescere la rivalità e la guerra tra poveri, meschinerie tra lavoratori non garantiti, ti sorbisci ore e ore di inutili lezioni sulla bellezza del fare impresa e nessuno dice che se non hai un soldo quel “fare impresa”, aprir bottega, significa solo fare debiti per rifocillare le banche e poi un giorno perire di suicidio perché non ce la fai più.
Di tutti i lavori che fai, in bianco, in nero, in beige, in viola, non hai di che accumulare neanche un mese di contributi. Non puoi neppure dire che sei disoccupata perché tutti ‘sti lavoretti, in realtà, anche se fosse che guadagni quasi niente e lo fai per la gloria, dicono il contrario. Perciò la precarietà è la condizione che impedisce di rilevare i veri livelli di disoccupazione che sono il doppio, se non il triplo, rispetto alla cifra ufficiale. Da disoccupata e in vena di esigere risarcimento di qualche contributo ti scontri poi con quel mostro di totale impenetrabilità che è l’Inps. L’ultima volta che sono andata ho barattato monete per il numero 39 che di sicuro veniva prima del 323. Invidiai l’enorme intraprendenza del barattatore.
Il centro per l’impiego è buono per farci indagini sociologiche. Nulla di più. Tra tanto fumo trovi perfino lo sportello “donna”. Superi l’impaccio per l’incasellamento biologicamente sessuato, ti chiedi se mai daranno udienza ad una trans, e vai lì a sentire che hanno da dirti. Prima di te allo sportello accede una migrante. Illustra molte difficoltà, chiede qualunque lavoro perché ne ha bisogno. L’impiegata le rifila solo due depliant coloratissimi e tu pensi che almeno non corri il rischio di essere rinchiusa in un Cie se ti trovano senza un permesso di soggiorno.
Nella mia terra, d’altro canto, sappiamo bene che avere pregiudizi nei confronti di chi va a cercare lavoro altrove è un’idiozia. Tante sono le persone che vedi partire e vivere di pendolarismi per guadagnarsi il pane. Così vai altrove, senza paracaduti sociali, senza casa, affetti, senza storia, portandoti dietro un bagaglio scarno delle cose dalle quali non riesci a separarti, cose sciocche, a volte, apparentemente insignificanti, incluse due o tre fotografie che ti aiutano a non sradicare i neuroni oltre che i corpi, e in quell’altrove la storia comunque non cambia.
Continuerai a fare la precari(A), a preparare curriculum in cui aggiungi o togli qualifiche ed esperienze a seconda se partecipi ai lieti casting per le pulizie di uffici o per progettare il mondo che verrà. Ogni tanto smetti di cercare e ti deprimi perché un po’ sei stanca di farti prendere in giro. Mandi a quel paese quelli che nei colloqui ti dicono che se vuoi lavorare devi pagare un corso di formazione di 500 euro per tre giorni. Con grande senso dell’umorismo compili questionari, test psico-attitudinali, e partecipi a prove e colloqui che durano 48 ore per un lavoro che non c’entra con la Nasa ma ha a che fare con la presentazione di prodotti presso i grossi centri commerciali. Infine capisci che devi imparare a vendere il prodotto più prodotto che c’è tra tutti, ovvero, te stessa, concorrenza permettendo. Ed è di questa capacità che Renzi, a me sembra, sia dotato. È parte di quella generazione che dai Co.Co.Co, ai Co.Co.Pro, alle partite Iva e ai contratti interinali, non ha mai visto un contratto a tempo indeterminato.
Non so come sia andata a lui, anzi lo so, ed è un bel lavoro la politica istituzionale. Buon guadagno, ottima pensione. A noi però è toccata solo la precarietà. E sapete qual è la conclusione? Che per vendersi bisogna essere sempre giovani, con un’immagine perfettamente curata. Perciò c’è chi deve investire risorse anche per prepararsi a superare colloqui a cinquant’anni e comunque sia non la spunta perché ti trovi a competere con chi ne ha trenta ed è precaria tanto quanto te.
Questo è il destino che ci/vi riguarderà un po’ tutti e, in assenza di una reale mobilità e di opportunità, l’Italia che non ti dà reddito e precarizza ancora di più il lavoro, con la possibilità che siano licenziati anche quelli che hanno contratti a tempo indeterminato e con le risorse di genitori e nonni che sono già finite, si ritroverà ad affrontare prospettive disastrose.
Vede Presidente Renzi, il fatto è che a Precarilandia non siamo scemi. La precarietà riguarda tanta gente come me che ha gli strumenti culturali per capire quello che succede. Quello che lei sta promuovendo è un sistema che massacra le persone e che dopo averle sfruttate ben bene poi le butta via. Perciò tanti a 40/50 anni saranno obbligati a tornare dai genitori o continueranno a fare guerre tra poveri. Questo è il mondo così com’è e che verrà. Posso dirle sinceramente che quel modello sociale non mi piace? Perché senza reddito non c’è libertà. Perché si scrive Jobs Act ma si legge “presa per i fondelli” per le persone precarie come me.