C’è questo eterno mantra renziano del “noi facciamo le cose e voi sapete solo criticare”. La versione aggiornata del berlusconiano “sapete solo odiare”. Una noia infinita. Non appena osi criticarli, la narrazione fragile renziana impone che da una parte essi vadano a piangere alla Rai e dall’altra replichino che “non si può essere solo disfattisti”.

Loro sono il Bene che costruisce e gli altri i Cattivi che demoliscono. Lo ha detto anche Karina Huff Boschi a Le invasioni barbariche, quando Luca Ricolfi la stava educatamente e facilmente demolendo. Il maestro di questo sport è Oscar Farinetti, che conosco e con cui mi diverte parlare, anche se politicamente siamo agli antipodi. Farinetti è arrivato a dire a questo giornale che esiste un “algoritmo mentale” della critica disfattista: un algoritmo che inacidisce troppi italiani. E tra questi italiani, ovviamente, c’è anzitutto Il Fatto Quotidiano
Si viene accusati di “non sperare” e di “tifare per il fallimento di Renzi”. E’ una critica che neanche all’asilo nido: la dimostrazione che il renzismo, ideologicamente, ha per architravi intellettuali Jo Squillo e Righeira. E i risultati si vedono. 

Il giornalista non “propone soluzioni” e neanche “spera” di lavoro. Dire a un giornalista “sai solo criticare, provaci tu al suo posto” è la reazione del fan piccato quando gli tocchi l’idolo: “Non ti piace Ligabue? Provaci tu allora a scrivere Urlando contro il cielo“. Che ragionamento è? Allora io, se voglio criticare la Thatcher, prima di farlo devo invadere le Falkland? Ma via, su. 

E’ ovvio che io, come Padellaro e tutti noi, speriamo che Renzi ce la faccia. C’è bisogno di dirlo? Soltanto un pazzo masochista può sperare che Renzi fallisca. Ma la “speranza” non è un lavoro e qui si parla di governo e vita reale: non siamo dentro uno spot di Tonino Guerra. “L’ottimismo è il profumo della vita” non è un programma politico, anche se al momento sembra l’unica traccia forte del governo in carica. Il giornalista fa un’altra cosa. Un giornalista cerca, informa, scrive e dice quel che vede. Si documenta e, quando deve farlo, denuncia. Non è colpa del Fatto se Renzi mente un giorno sì e l’altro forse pure. Non è colpa nostra se Renzi non ha chiarito la vicenda Carrai, se ha scelto la Barracciu come sottosegretaria e se pur di vincere ha imbarcato tanti Genovese. Non è colpa nostra se vota contro gli sgravi per gli alluvionati e se dice di aver trovato i fondi per gli scatti degli insegnanti ma poi taglia le risorse per le attività scolastiche. Non è colpa nostra se, quando gli chiedono cosa sia l’Europa, biascica che “è mio nonno che ha fatto la guerra, mia madre che ha pianto guardando il Muro cadere e mio figlio che farà l’Erasms” (con tapioca prematurata a destra). Non è colpa nostra se è tutto e niente: soprattutto niente.
 

Anche questo mantra del “Renzi è l’uomo del fare” è patetico. E’ forse l’uomo del fare, ma per ora son quasi tutte boiate, tipo la porcata infinita dell’Italicum. Non basta “fare” per applaudire: occorre anche valutare nel merito cosa viene fatto. Una politica che sbaglia a raffica non è necessariamente migliore di un politico che prende (e perde) tempo. Vorrei poi ricordare ai renziani “che sperano”, e che dunque ritengono Il Fatto (e fortunatamente non solo Il Fatto) un covo di “odiosi sfascisti”, che la stessa critica ci veniva rivolta quando il 90% dell’informazione si sfidava nella disciplina olimpica della ‘masturbazione continua al potere salvatore’: prima Monti, poi Letta, ora Renzi. E non mi pare che, nei primi due casi, avesse torto Il Fatto

Il giornalismo non è tifare o sperare: è raccontare come stanno le cose. E purtroppo in Italia stanno spesso male. Mi piacerebbe raccontarvi che va tutto bene e che Renzi è il nuovo De Gasperi, ma non va tutto bene e Renzi è piuttosto un mediamente pingue Mister Bean convinto – chissà perché – di essere Tom Cruise in Top Gun, o anche solo Jerry Calà in Vacanze di Natale.

Mi preme infine rispondere a un’altra critica oltremodo esile: “non ti piace niente”. Eh no, ragazzi, e mi rivolgo anzitutto a molti (non tutti) elettori del Pd. Non è che a me non piace niente: è che a voi piace proprio tutto. Se la Chiesa Piddina vi dice una cosa, va da sé ovviamente antitetica a quella pronunciata il giorno precedente, voi chinate il capo e vi iscrivete prontamente al Fan Club del quasi-nuovo Lider Minimo. Quand’è che vi arrabbiate, ex compagne e compagni? Quand’è che vi ribellate? Quand’è che vi rendete conto che, pur di andare al potere, avete dato il vostro partito in mano a un manipolo tragicomico (fatte salve sporadiche eccezioni) di apostoli arroganti e maestrine convinte che gli F35 siano scudi interstellari contro i missili tipo Jeeg Robot d’Acciaio? 

Non è che “non mi piace niente”. A me piacciono miliardi di cose. E tra queste, ebbene sì lo confesso, non c’è al momento un governo che a volergli bene mette tenerezza. Mi piacciono miliardi di cose. Ho però gusti difficili e quando c’è da godere non mi accontento: quando c’è da godere sono particolarmente esigente. Noto invece che in tanti, pur di raccattare un’erezione politica di contrabbando, ingoino di tutto. Davvero di tutto. Inseguono il “meno peggio” perfino nell’eccitazione. Con l’esercizio quotidiano, riescono a fingere così bene da sembrare quasi contenti sul serio. A tanti pare bastare questo sfarinatissimo Governo Antani-Tonino Guerra per avere un coito (interrotto). A me, no: io, con gli slogan, al massimo ci faccio il brodo.

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