Dopo le banche d’affari, un altro tipo di istituzione finanziaria sta cominciando a preoccupare i regolatori di tutto il mondo: i grandi fondi d’investimento americani. Controllano importanti fette di debito pubblico, partecipano massicciamente al capitale delle principali multinazionali e sono in grado di spostare centinaia di miliardi di dollari ogni anno da una parte all’altra del mondo. Il timore è che in un futuro possano replicare l’effetto Lehman Brothers, tra le principali cause della crisi che, dopo aver messo in ginocchio gli Stati Uniti nel 2007–2008, ha affossato negli anni successivi l’Europa e il mondo intero. La bomba questa volta, invece, potrebbe essere innescata dalle grandi società di gestione dei risparmi, il cui peso è ormai talmente sproporzionato rispetto ad altre istituzioni sul mercato da influenzare pesantemente i mercati, la politica delle aziende e addirittura degli Stati con le loro decisioni di investimento.
Paure che non sono del tutto infondate: per capire la stazza di questi fondi made in Usa, basti pensare che da soli i prime cinque (Blackrock, Vanguard, State Street, Pimco e Fidelity) controllano investimenti per 12.770 miliardi di dollari, poco meno dei 16.600 miliardi del Prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Non sorprende, quindi, che tra le lobby più potenti compaia in prima fila l’Investment company institute (la versione americana di Assogestioni), temuta da politici ma anche dai manager d’azienda, che hanno sempre un occhio di riguardo verso il voto dei gestori nelle assemblee annuali degli azionisti. Ecco perché da alcune settimane, le autorità Usa e, in Europa, quella del Regno Unito, stanno cercando in includere i gestori con un patrimonio in gestione superiore a 100 miliardi nella lista delle istituzioni finanziarie di importanza sistemica, cioè quelle in grado di scatenare una crisi su scala globale e, quindi, da sottoporre a una vigilanza speciale con regole più stringenti.
I grandi fondi Usa, però, dicono no alla sovra regolamentazione del settore che rischia di frenare la competitività e di danneggiare gli investitori finali. “A differenza delle banche, i colossi dei fondi non sono troppo grandi per fallire”, ha ribadito con disappunto l’Investment company institute spiegando che il patrimonio che hanno in gestione appartiene ai loro clienti e che i costi aggiuntivi e norme più restrittive, se applicate selettivamente, rischierebbero di distorcere il settore su scala globale. A preoccupare il ministero del Tesoro Usa non sono i prodotti di queste case d’investimento, di sicuro tra i più trasparenti sul mercato, ma il cosiddetto “effetto gregge” causato dal loro comportamento: può provocare ondate di vendite o di acquisti, contribuendo a gonfiare le bolle sui mercati obbligazionari o azionari; o causare problemi di liquidità, quando vanno incontro a troppe richieste di rimborso da parte dei loro clienti. Solo Pimco, il fondo guidato dall’infallibile “re dei bond” Bill Gross, lo scorso anno ha registrato deflussi per 29 miliardi di dollari, a causa dei bassi rendimenti delle obbligazioni ma anche a scelte di investimento in titoli di Stato americani che hanno deluso gli investitori a fine anno.
In Italia, invece, ricordiamo le scorrazzate di BlackRock a Piazza Affari, che negli ultimi mesi ha incrementato le proprie partecipazioni nelle più rilevanti società quotate della Penisola (le blue chip) tanto da diventare il primo azionista di Unicredit e il secondo di Intesa SanPaolo e del Monte dei Paschi di Siena. Nel gennaio 2013, per citarne una, il colosso newyorkese dei fondi si liberò in una sola volta del 2,3% di Saipem il giorno prima che la società lanciasse l’allarme sui profitti, provocando così il crollo del titolo alla seduta successiva.
Ma oggi il caso più evidente tocca addirittura la crisi in Ucraina: circa un terzo del totale del debito pubblico di Kiev denominato in dollari americani” (fonte Bloomberg) è gestito infatti da una sola società, la californiana Franklin Templeton (ha sede a San Mateo, città non lontana da San Francisco), che lo scorso novembre ha acquistato in massa oltre 5 miliardi di dollari in titoli governativi ucraini. Secondo le indiscrezioni comparse sulla stampa anglosassone e a una recente analisi di Morningstar, una società indipendente di valutazione dei fondi, l’ammontare del debito ucraino in mano al gestore americano sarebbe di oltre 6 miliardi di dollari.
Lobby
Fondi d’investimento sempre più cruciali per equilibri globali, sotto stretta sorveglianza
Riflettori puntati sui grandi gestori del risparmio, che spostano miliardi di euro ogni settimana rischiando di scatenare crisi sistemiche: da Blackrock, che ha appena rafforzato la presa su Intesa, Unicredit e Mps, a Franklin Templeton, che ha in mano un terzo del debito pubblico dell'Ucraina
Dopo le banche d’affari, un altro tipo di istituzione finanziaria sta cominciando a preoccupare i regolatori di tutto il mondo: i grandi fondi d’investimento americani. Controllano importanti fette di debito pubblico, partecipano massicciamente al capitale delle principali multinazionali e sono in grado di spostare centinaia di miliardi di dollari ogni anno da una parte all’altra del mondo. Il timore è che in un futuro possano replicare l’effetto Lehman Brothers, tra le principali cause della crisi che, dopo aver messo in ginocchio gli Stati Uniti nel 2007–2008, ha affossato negli anni successivi l’Europa e il mondo intero. La bomba questa volta, invece, potrebbe essere innescata dalle grandi società di gestione dei risparmi, il cui peso è ormai talmente sproporzionato rispetto ad altre istituzioni sul mercato da influenzare pesantemente i mercati, la politica delle aziende e addirittura degli Stati con le loro decisioni di investimento.
Paure che non sono del tutto infondate: per capire la stazza di questi fondi made in Usa, basti pensare che da soli i prime cinque (Blackrock, Vanguard, State Street, Pimco e Fidelity) controllano investimenti per 12.770 miliardi di dollari, poco meno dei 16.600 miliardi del Prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Non sorprende, quindi, che tra le lobby più potenti compaia in prima fila l’Investment company institute (la versione americana di Assogestioni), temuta da politici ma anche dai manager d’azienda, che hanno sempre un occhio di riguardo verso il voto dei gestori nelle assemblee annuali degli azionisti. Ecco perché da alcune settimane, le autorità Usa e, in Europa, quella del Regno Unito, stanno cercando in includere i gestori con un patrimonio in gestione superiore a 100 miliardi nella lista delle istituzioni finanziarie di importanza sistemica, cioè quelle in grado di scatenare una crisi su scala globale e, quindi, da sottoporre a una vigilanza speciale con regole più stringenti.
I grandi fondi Usa, però, dicono no alla sovra regolamentazione del settore che rischia di frenare la competitività e di danneggiare gli investitori finali. “A differenza delle banche, i colossi dei fondi non sono troppo grandi per fallire”, ha ribadito con disappunto l’Investment company institute spiegando che il patrimonio che hanno in gestione appartiene ai loro clienti e che i costi aggiuntivi e norme più restrittive, se applicate selettivamente, rischierebbero di distorcere il settore su scala globale. A preoccupare il ministero del Tesoro Usa non sono i prodotti di queste case d’investimento, di sicuro tra i più trasparenti sul mercato, ma il cosiddetto “effetto gregge” causato dal loro comportamento: può provocare ondate di vendite o di acquisti, contribuendo a gonfiare le bolle sui mercati obbligazionari o azionari; o causare problemi di liquidità, quando vanno incontro a troppe richieste di rimborso da parte dei loro clienti. Solo Pimco, il fondo guidato dall’infallibile “re dei bond” Bill Gross, lo scorso anno ha registrato deflussi per 29 miliardi di dollari, a causa dei bassi rendimenti delle obbligazioni ma anche a scelte di investimento in titoli di Stato americani che hanno deluso gli investitori a fine anno.
In Italia, invece, ricordiamo le scorrazzate di BlackRock a Piazza Affari, che negli ultimi mesi ha incrementato le proprie partecipazioni nelle più rilevanti società quotate della Penisola (le blue chip) tanto da diventare il primo azionista di Unicredit e il secondo di Intesa SanPaolo e del Monte dei Paschi di Siena. Nel gennaio 2013, per citarne una, il colosso newyorkese dei fondi si liberò in una sola volta del 2,3% di Saipem il giorno prima che la società lanciasse l’allarme sui profitti, provocando così il crollo del titolo alla seduta successiva.
Ma oggi il caso più evidente tocca addirittura la crisi in Ucraina: circa un terzo del totale del debito pubblico di Kiev denominato in dollari americani” (fonte Bloomberg) è gestito infatti da una sola società, la californiana Franklin Templeton (ha sede a San Mateo, città non lontana da San Francisco), che lo scorso novembre ha acquistato in massa oltre 5 miliardi di dollari in titoli governativi ucraini. Secondo le indiscrezioni comparse sulla stampa anglosassone e a una recente analisi di Morningstar, una società indipendente di valutazione dei fondi, l’ammontare del debito ucraino in mano al gestore americano sarebbe di oltre 6 miliardi di dollari.
MORTE DEI PASCHI
di Elio Lannutti e Franco Fracassi 12€ AcquistaArticolo Precedente
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La Consulta: inammissibile il referendum sull’Autonomia. Sì a 5 quesiti: anche quelli su Jobs Act e cittadinanza per gli extracomunitari
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Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Il Jobs Act è una legge che ha creato oltre un milione di posti di lavoro, più della metà a tempo indeterminato, e che ha introdotto tutele fondamentali come l’eliminazione delle dimissioni in bianco. La decisione della Corte Costituzionale che dà il via al referendum relativo al Jobs Act ci trova quindi pronti: spiegheremo ai cittadini quanto sarebbe sbagliato cancellare queste conquiste che creano posti di lavoro, sviluppo e tutele". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia Viva.
"Quanto al referendum sull’autonomia, accettiamo il verdetto della Consulta che dopo la precedente pronuncia sulla legge Calderoli appariva pressoché scontata. Ogni modifica sull’autonomia differenziata passerà dal Parlamento, e lì ci faremo trovare pronti e determinati".
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "Le mie più sentite congratulazioni al presidente Trump per l’inizio del suo secondo mandato. Il popolo americano ha fatto una scelta chiara, che riflette l’impegno per la crescita economica, la sicurezza e la sovranità nazionale”. Lo scrive su X il Co-Presidente del gruppo dei conservatori al Parlamento europeo, Nicola Procaccini dí Fratelli d’Italia.
“Noi dell'Ecr condividiamo molte delle priorità delineate dal presidente Trump: contrastare l'immigrazione clandestina, garantire comunità più sicure, tagliare le tasse e la burocrazia e ripristinare la competitività economica. Queste non sono solo priorità americane, ma anche europee”.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Sardegna, con il nostro ricorso accolto dalla Corte lo scorso novembre, ha difeso la sua specialità e contrastato una legge iniqua. Una legge che la Corte stessa, ascoltando le preoccupazioni delle Regioni promotrici, ha già demolito e svuotato perché ci toglieva risorse e ci condannava a restare indietro. Se il capogruppo della Lega Veneta ha dichiarato recentemente che il Veneto vale più della Sardegna, per farci capire cosa si intende per differenziata, noi invece continueremo a difendere con le unghie e con i denti le risorse e le opportunità che le spettano”. Così la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - “Sul referendum sulla cittadinanza daremo battaglia nel nome dell’estensione dei diritti e per superare una legislazione particolarmente arretrata. Si tratta di un referendum promosso da un vasto arco di soggetti, tra cui numerose associazioni dei nuovi cittadini, persone a cui per troppo tempo è stata tolta la voce. Lotteremo al loro fianco”. Così in una nota Pierfrancesco Majorino della segreteria del Partito Democratico, responsabile Immigrazione.
Washington, 20 gen (Adnkronos) - Non è stato un blitz come quello di Mar a lago, rivelatosi determinante per la liberazione di Cecilia Sala, ma una intera giornata quella che Giorgia Meloni ha dedicato, per la seconda volta in un mese, a Donald Trump. La premier non è voluta mancare all'inauguration day del presidente americano, sottolineando quanto sia importante "dare una testimonianza della volontà di continuare e rafforzare" la relazione Italia-Usa.
E questa "testimonianza" la premier l'ha data plasticamente già di primo mattino, quando insieme alla famiglia Trump, a quella del vice presidente Vance e pochi altri, ha preso parte alla messa di 'benedizione' del neo commander in chief alla chiesa episcopale di st John, proprio di fronte alla Casa Bianca. Poi il trasferimento alla Rotonda del Campidoglio, a Capitol hill, per il giuramento spostato al chiuso a causa dell'ondata di gelo che ha stretto Washington. Con lei, oltre ai diplomatici, la fida Patrizia Scurti in delegazione.
Meloni siede sotto lo sguardo della statua di Abramo Lincoln, nei posti riservati ai capi di Stato e di governo invitati da Trump. Una sparuta elite che comprende la presidente del Consiglio (unica leader Ue) e, tra i pochi altri, il presidente argentino Javier Milei, con cui Meloni chiacchiera a lungo inquadrati più volte dalle telecamere di Fox news, che non ha perso una battuta della giornata-evento.
(Adnkronos) - A pochi passi, i 'big tech Ceo' che Trump ha voluto come ospiti vip della cerimonia e che l'hanno sostenuto nel suo cammino di ritorno alla sala ovale: Tim Cook, Jeff Bezos, Sandor Picahi, Sam Altman, Mark Zuckenberg e ovviamente Elon Musk. Sui social, è il capo delegazione di FdI-Ecr all'Europarlamento Carlo Fidanza, a Washington con un piccola pattuglia di parlamentari italiani ospiti dei Repubblicani Usa, a dare il senso politico della 'foto di Capitol hill' della Meloni: "La nostra presidente è ormai riconosciuta da tutti come l’interlocutrice privilegiata di Trump in Europa".
Nella sua valutazione del Trump day, Meloni al mattino è più ecumenica: "Penso sia molto, molto importante per una nazione come l’Italia che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti dare una testimonianza della volontà di continuare e se mai rafforzare quella relazione in un tempo nel quale le sfide sono globali e interconnesse", spiega prima di lasciare l'albergo.
Più tardi su X augura buon lavoro a Trump e assicura: "Sono certa che l’amicizia tra le nostre Nazioni e i valori che ci uniscono continueranno a rafforzare la collaborazione tra Italia e Usa", per poi sottolineare: "L’Italia sarà sempre impegnata nel consolidare il dialogo tra Stati Uniti ed Europa, quale pilastro essenziale per la stabilità e la crescita delle nostre comunità".
(Adnkronos) - Per il ministro dell'Ue Tommaso Foti, la missione di Meloni a Washington "conferma il ruolo cruciale che, nel prossimo futuro, la nostra Nazione intende giocare nelle relazioni transatlantiche, ponendosi come ponte strategico tra Europa e America".
In questo contesto, e anche per il rigido protocollo che governa l'insediamento del presidente americano, si stempera anche l'attesa per un faccia a faccia Meloni-Trump, prima auspicato e poi annunciato alla vigilia anche da Fidanza. "Non era previsto, non era il contesto e non ci sarà problema a farlo in futuro", è il senso del ragionamento dell'entourage della premier. Così, direttamente lasciando ad un certo punto le lunghe celebrazioni, Meloni può salutare e tornare subito in Italia.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La decisione della Consulta che ha sancito l’ inammissibilità del referendum abrogativo sull’autonomia conferma che la riforma scritta dal ministro Calderoli è, come sapevamo, coerente e corretta nel rispetto delle previsioni costituzionali. Per cui avanti con l’iter della riforma e con i negoziati con le regioni che hanno già richiesto le prime materie ‘non Lep’, come la Lombardia. Avanti tutta con l’autonomia!”. Lo dichiara il segretario regionale della Lega Lombarda Salvini Premier e presidente dei senatori della Lega Salvini Premier, senatore Massimiliano Romeo.
Roma, 20 gen. (Adnkronos) - "La Corte Costituzionale, dichiarando inammissibile il referendum sull’autonomia, perché ‘l’oggetto e la finalità del quesito sono poco chiari’, ha bocciato l’opposizione. D’altra parte, cosa ci si può aspettare da una sinistra incapace anche di scrivere i quesiti da sottoporre ai cittadini per una consultazione popolare? Per quanto ci riguarda, noi andiamo avanti con il percorso riformatore, nell’interesse dell’Italia”. Così la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli.