Vogliamo tutto, ma proprio tutto
L’emulazione dei grandi conquistatori del passato esprime tutta la sua forza sul planisfero di uno dei board war games più famosi al mondo: il Risiko. All’italiana è più aggressivo e si gioca coi carrarmatini, non con le anonime pedine della stragrande maggioranza delle altre versioni nazionali. Ancor prima di lanciare i dadi e puntare il proprio obiettivo, intenzionato a sottomettere le popolazioni oceaniche o a conquistare le Americhe, il giocatore italico già pensa a tutti i mezzi per arrivare alla meta: riunire il pianeta sotto un’unica bandiera, naturalmente la sua.
Guerrafondai in erba (fra la mura scolastiche)
Risiko è una parola tedesca, e il suo significato (‘rischio’) coincide con la voce italiana da cui deriva. Di significati, grazie al gioco di guerra, ne sarebbero discesi molti altri, riferiti in specie alle logiche di accaparramento messe in atto dalle multinazionali dell’economia e della finanza, dai grandi gruppi editoriali, dalle agenzie d’informazione e di comunicazione.
Nel 1982 la rivista “Cineforum”, recensendo Diritto di cronaca (Absence of Malice, 1981) del regista Sidney Pollack, parla di una «specie di “risiko” gigante che tutti i personaggi giocano l’uno contro l’altro, ciascuno con qualcosa da perdere e qualcosa da guadagnare, ciascuno aiutando e ingannando l’altro» (p. 66). Protagonista un commerciante all’ingrosso di alcolici della città di Miami, interpretato da un superbo Paul Newman. L’attore, in una battuta del film, aveva detto dopo il suicidio di un’amica: «Qui tutti sono furbi, tutti fanno il loro gioco».
È la quintessenza del Risiko: tutti contro tutti. Eloquente il suo nome originale: La Conquête du Monde. Il gioco era stato brevettato dal francese Albert Lamorisse, sceneggiatore, produttore e regista. Messo per la prima volta in commercio (1957) dalla Miro Company, ne viene diffusa ben presto (1959), dall’americana Parker Brothers, una versione addolcita nel nome. Il titolo francese, in piena Guerra Fredda e poco meno d’un quindicennio dalla fine del secondo confitto mondiale, suona come troppo minaccioso: viene perciò ribattezzato Risk (sottotitolo: Continental Game). La prima edizione tedesca (1961) si sarebbe chiamata Risiko!,; quasi identica (RisiKo!) la prima italiana (1968).
Tra rifacimenti e imitazioni, come altri popolarissimi giochi, il Risiko vanta un’infinità di versioni. Fra le più curiose il gioco dei quattro feudi, ambientato nel X secolo. Debitore anche del Monopoli, è un gioco didattico di ruolo ideato negli anni Ottanta (cfr. Amina Crisma, Il gioco dei quattro feudi, “I viaggi di Erodoto”, I/2, 1987, pp. 166-177) e da praticarsi così in una classe della scuola media inferiore: «La classe, divisa in quattro gruppi sistemati agli angoli di un tavolo centrale, simula la vita di un feudo. Gli alunni diventano feudatari laici od ecclesiastici, cronisti delle loro vicende, economi delle loro fortune o disgrazie. Ripercorrendo le vicende della società feudale, il gioco si snoda attraverso vari anni-round dal 921 al 925 nell’Italia attraversata da conflitti dinastici» (Maria Corallo, Il gioco dei quattro feudi, “Scuola ticinese”, XXXII, 2004, marzo-aprile, p. 14).
I piccoli feudatari possono accumulare grano per la semina, ma anche attaccare gli altri feudatari in erba per impadronirsi dei loro territori. Vince il feudo che abbia ammassato più grano, o l’unico feudatario scampato a un confronto durato ben cinque lunghi anni.