Sabino Arana, nel 1894, fondò il Pnv, Partido nacionalista vasco, inventando anche il termine Euskadi, mai utilizzato prima. Il nazionalismo basco è considerato uno dei più forti in Europa ed ha insanguinato la Spagna per decenni attraverso l’Eta, ma per storici e antropologi si tratta di “invenzione della nazione basca”(1), con un padre fondatore in carne e ossa, Sabino Arana. Il periodo storico in cui nacque non è casuale. A fine XIX secolo arrivò in Spagna la prima ondata di industrializzazione, ma si fermò quasi esclusivamente a due regioni della penisola, Catalogna e Paesi Baschi. Arana studiò all’Università di Barcellona, dove il cosiddetto catalanismo era già molto forte e qui iniziò il recupero di una lingua antica e non più utilizzata, l’euskera. A poco più di un secolo di distanza, è divenuta lingua ufficiale della regione.

Se non possiamo prevedere il futuro, la storia ci offre modelli di confronto per provare a ipotizzarlo e guidarlo. Dopo Spagna, Regno Unito e Belgio, l’Italia sembra avviata ad essere la quarta grande nazione dell’Europa occidentale a rischio scissione. Non è un’assoluta novità, il paese ha già affrontato nazionalismi interni, anche violenti come in Südtirolo e in Sardegna, risolti ampliando le autonomie delle regioni, ma ciò è successo molti anni fa e oggi è (quasi) dimenticato. Sembra invece essere il turno del Veneto. Nell’indifferenza della politica nazionale, il nazionalismo veneto ha compiuto un salto di qualità. Fino a pochi anni fa si trattava di qualche mitomane che di tanto in tanto proclamava l’indipendenza della regione, indiceva elezioni o altro. Negli anni abbiamo assistito ad arresti del Presidente della repubblica federata di Padova (per guida senza patente italiana), a prigionieri “politici” di vario genere, perfino a milizie armate pronte per un assedio seicentesco. Tutti episodi che, più che rafforzare il Veneto, hanno contribuito a creare l’immagine (falsa) di un territorio di sempliciotti ignoranti e razzisti.

Oggi però è diverso. Nonostante non sia in alcun modo valido, né indicativo, con il referendum online il salto di qualità è evidente. Il movimento regionalista sembra più coeso e il manifesto, se manca totalmente di profondità storica, ha abbandonato gli aspetti folkloristici dello stile leghista, a favore di un convinto europeismo e di una “trattativa amichevole” con l’Italia. L’accostamento con quanto successo in Euskadi è forse azzardato, ma delinea un possibile tragitto. Alcune premesse sono comuni: la vicinanza con una regione dove i sentimenti nazionalisti sono molto forti (ieri la Catalogna, oggi il Südtirolo) e una forte disparità economico-industriale con altre regioni, in particolare del centro-sud. Gli aspetti economici, soprattutto, sono in grado di modificare profondamente quelli culturali. Il Veneto è una regione culturalmente italiana, se non italianissima, ma è pur vero che dal punto di vista economico, l’Italia è un paese molto diviso con differenze interne di reddito e produzione comparabili solo con quelle della Germania (tra Ovest ed Est). Anche i Paesi Baschi erano una regione spagnola e fino a pochi anni fa la lingua basca era parlata solamente dal 10% degli abitanti. Bisognerebbe comprendere se anche in Veneto sia possibile, nel tempo, la creazione di una nazione a partire da questioni eminentemente economiche. Al momento sembra improbabile, ma non impossibile.

Non esiste un venetismo innato, la storia del Veneto, anche nella Serenissima, è legata a doppio filo con quella italiana, però esistono delle questioni economiche e politiche irrisolte che rischiano di crearlo. Lo stato italiano deve intervenire cercando di comprendere la profondità dei movimenti che si stanno creando, in un’ottica di lungo periodo, senza bendarsi gli occhi o sottovalutarli. La domanda vera, sottostante al referendum, dipende da decenni di trattamento iniquo da parte dello stato italiano, ben visibile ai veneti nei vicini Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, nonché in altre regioni come la Sicilia. Oggi molti veneti ritengono che l’Italia sia una zavorra per la regione e di essere più che altro una “vacca da mungere” per sostenere chi non ce la fa con le proprie gambe. Legittima o no, è una visione con cui non si può non fare i conti, specie in un contesto economico difficile come quello presente. L’unica risposta che può frenare le spinte centrifughe è riequilibrare i rapporti tra Stato ed enti locali, in modo da dare a tutte le regioni e gli enti locali, maggiori e pari autonomie decisionali, secondo il principio (fondante dell’Ue) di sussidiarietà.

1) M.Heiberg, The making of the Basque Nation, Cambridge, Cambridge University Press, 1989

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