Riassunto delle puntate precedenti.
Elia racconta del suo prof di latino che in classe è così forte da far mollare ai ragazzi telefonini e tablet sotto il banco: meglio le declinazioni. Sharon aggiunge che questo accade quando chi insegna non è un tipo “da medioevo” ma uno che prende sul serio il mestiere, aggiornandosi. Antonella, ingegnere e insegnante di istituto tecnico, propone il suo esempio: lezioni iperpartecipate, progetti concreti, stimoli realistici.
Ora si aggiunge Antonio con una nota dal sapore classico: no, il dibattito no, soprattutto in classe. Meglio sperare che il prof abbia qualcosa di importante da trasmettere, da assorbire in fretta per prepararsi alla dura – e spesso noiosa – vita professionale.
Salve, mi chiamo Antonio e sono uno studente universitario di 20 anni. Sono uscito dal Liceo Classico due anni fa. Credo quindi di poter parlare con cognizione di causa di quanto esposto dai due miei ex colleghi in precedenza.
Ho notato molto spesso critiche simili a quelle espresse dai due studenti medi sui docenti, e posso dire di non essere stato (e di non essere tuttora) in alcun modo d’accordo con queste obiezioni. La scuola italiana è una scuola che, volenti o nolenti, poggia tutta sul sistema di lezione frontale. Io parlo, tu ascolti. Per esperienza, la gran parte degli esperimenti di coinvolgimento nella didattica degli studenti, sin dall’asilo oserei dire, si è rivelata fallimentare: vogliamo parlare dei ridicoli tentativi nei quali qualche pio e speranzoso docente cercava di proporre un dibattito, più che una lezione? E dei penosissimi silenzi che seguivano? E delle faticosissime maratone nelle quali l’insegnante provava a cavare qualche parola di bocca al (mancato) interlocutore?
Per come la vedo io, a scuola si va per stare seduti, seguire e prendere nota di quello che viene spiegato (cosa diversa per quanto concerne il tempo impiegato per interrogare). Non ne posso più di questa retorica insulsa sul docente che dev’essere sempre sul pezzo, sempre prontissimo, modernissimo, aggiornatissimo, suadentissimo. Gli insegnanti devono sapere e saper spiegare, gli alunni devono ascoltare e tacere se non interpellati (ma forse sono influenzato, in questo, dal provenire da una povera parte d’Italia dove ci si rivolge all’insegnante ancora col “voi”, dove i figli si chiamano col nome dei nonni, anziché Sharon ed Elia, e dove il docente è guardato ancora con un misto di timore reverenziale e ammirazione).