La prima vicenda giudiziaria si chiuse nel 2010 senza risultati. Ora un nuovo fascicolo sulle gare d'appalto per l'adeguamento della discarica che dovrebbe ospitare il materiale cancerogeno prodotto fino al 2003 dall'azienda. I cui manager hanno ripreso la produzione in Uruguay
Sulla Stoppani, l’azienda che per un secolo ha prodotto il micidiale cromo esavalente a due passi dal mare di Cogoleto (cittadina alla frontiera ovest di Genova), esplode l’ennesima “bomba”. A scoppio ritardato, perché la Stoppani dal 2003 ha cessato la produzione. Eppure non ha smesso di rappresentare una minaccia serissima per la salute e l’ambiente, terrestre e marino. Il sito industriale dismesso infatti è zeppo di scorie di cromo esavalente, una sostanza altamente tossica e cangerogena. Non si è riusciti a disfarsene perché – spiegano all’assessorato regionale all’ambiente – la discarica di Molinetto era stata chiusa perché non rispondeva agli standard di sicurezza. Il procuratore della Repubblica di Genova, Michele Di Lecce, conferma a ilfattoquotidiano.it l’esistenza dell’inchiesta: “Gli accertamenti sono in corso già da tempo. No, non ci sono indagati”. L’Europa aveva aperto una procedura di infrazione. Proprio sul sito di Molinetto si sono accesi i riflettori della Procura genovese che ha aperto un fascicolo contro ignoti. L’ipotesi investigativa è che la gara di appalto sia stata ritagliata su misura per favorire qualcuno. E non si esclude che il favore sia stato ripagato a suon di tangenti.
L’antefatto. La Regione Liguria ha stanziato 2,7 milioni di euro per mettere in sicurezza il sito di Molinetto, per decenni utilizzato dalla Stoppani come pattumiera di rifiuti tossici e abbandonato nel 2007. Il denaro stanziato dalla Regione Liguria è molto meno di quello che occorre per la messa in sicurezza del sito sulle alture di Cogoleto. Si autorizza allora, oltre alla discarica di 54mila metri cubi provenienti dall’ex fabbrica Stoppani (18mila dei quali di materiale pericoloso frammisto alla terra del’arenile), lo sversamento di 50mila metri cubi di materiale contenente amianto, proveniente da scavi ferroviari. L’escamotage consentirà a chi si aggiudicherà l’appalto di fare cassa, colmando la differenza tra il finanziamento regionale (2,7 milioni di euro) e i costi dell’intervento complessivo (8,6 milioni di euro), che comprendono la demolizione di alcuni manufatti sull’area della ex fabbrica. Cecilia Brescianini, vicecommissario per la Stoppani precisa che chi si aggiudicherà l’appalto avrà 30 mesi di tempo per colmare la discarica che dovrà essere coperta da un involucro (capping) per evitare il filtraggio dei percolati. Il caso Molinetto scatena la bagarre politica. Interrogazioni piovono dovunque, in Regione, al Parlamento di Roma a quello di Strasburgo. E la procura genovese, in silenzio, indaga.
“Sono stata un’ingenua – ammette parlando a ilfattoquotidiano.it l’assessore all’ambiente, Renata Briano, piddina di orientamento civatiano – Ho citato gli scavi in galleria per la realizzazione del Terzo Valico. Ma era soltanto un esempio. E comunque quei materiali sono innocui perché l’amianto non è in forma di fibre libere, si trova all’interno della roccia”. Il Cociv, il consorzio che realizza i lavori per il Terzo Valico ferroviario tra Liguria e Piemonte, aveva immediatamente reagito alle dichiarazioni di Briano, puntualizzando che l’utilizzo del sito di Molinetto non è mai stato preso in esame per lo smaltimento dello smarino prodotto dalle trivellazioni per le gallerie e non fa parte della convenzione firmata dalla Regione. Una excusatio non petita?
Dall’inchiesta penale, condotta dal sostituto procuratore Francesco Cardona Albini, l’assessore Briano prende le distanze: “Non ne so nulla. Il bando di gara è stato pubblicato dalla Regione, ma non è farina del nostro sacco”. In effetti l’appalto è stato lanciato dall’ente commissariale che era subentrato nel 2007 alla Stoppani. Il commissario, il prefetto di Genova Giovanni Balsamo, in una lettera pubblicata dal Secolo XIX, ricapitola gli eventi dopo il fallimento della Immobiliare Val Lerone, la scatola vuota con la quale la Stoppani riuscì ad evitare di pagare i danni provocati nei decenni. Riversando sullo Stato gli onori della costosissima bonifica dei siti inquinati dal cromo esavalente. Lo Stato finora ha speso 52 milioni di euro per ridurre l’inquinamento delle acque di falda, dove la presenza di cromo è scesa – certifica Balsamo – da 35.000 gr/l a 10.000 gr/l nel 2013. E’ qualcosa, ma assai poco. Sgomberato il relitto della fabbrica dalle scorie che ancora lo deturpano, l’area resterà gravemente inquinata e quindi inutilizzabile. Serve un miliardo di euro per la bonifica radicale e quei soldi non ci sono. La famiglia Stoppani in compenso non ci ha rimesso un euro.
Il management della Stoppani era finito a processo per disastro ambientale. L’accusa era retta dallo stesso pm che indaga su Molinetto. La vicenda giudiziaria si era chiusa nel 2010 con un nulla di fatto. Due dirigenti condannati, ma salvi grazie alla prescrizione. Uno di loro, l’uomo di fiducia della famiglia Stoppani, Giuseppe Bruzzone – ha scoperto Il Secolo XIX – oggi è amministratore unico della Dirox Italia srl, la branca italiana dalla multinazionale con la quale il gruppo Stoppani ha ripreso la produzione del cromo in Uruguay. Intervistato, il giudice uruguayano Enrique Viana ha raccontato di aver chiesto al tribunale di Montevideo già nel 2008 di chiudere la fabbrica che sorge alle porte dalla Capitale. Richiesta negata e giudice bollato come “allarmista”. Risultato: la Dirox continua a produrre ed inquinare e – conclude Viana – “tutto avviene con la tolleranza delle autorità. E’ un disastro che dovremo pagare di tasca nostra quando Dirox deciderà, se deciderà, di andarsene”. La storia uruguaiana ricalca quella della Stoppani di Cogoleto. I cittadini di Arenzano e Colgoleto e gli ambientalisti in lotta per decenni contro l’azienda, autorizzata a sversare in mare i fanghi al cromo. E la politica a ballonzolare sul filo senza assumere decisioni nette.