Nel libro che pubblicheremo prossimamente con Marina Pietrangelo, Paola Marsocci, Sandra Martini Vial ed alcuni giovani ricercatrici e ricercatori, ci poniamo il problema se Internet possa costituire un meno un valido strumento per la partecipazione politica. Nel mio saggio introduttivo, dedicato a “Internet fra canale di partecipazione politica e strumento di controllo. Profili di diritto internazionale”, affermo fra l’altro quanto segue, a partire da una considerazione del ruolo dei network sociali all’interno delle cosiddette rivoluzioni arabe:
L’esperienza tunisina, e altre simili che si sono svolte in altri Paesi, pongono pertanto il problema di stabilire se e in che misura Internet possa costituire uno strumento idoneo a promuovere effettivamente il diritto di partecipazione politica che viene garantito in misura crescente dal diritto internazionale e da vari ordinamenti nazionali. Ciò, sia per quanto riguarda situazioni straordinarie di crollo di regimi ed emergere di nuove legittimità, sia nello svolgimento dei compiti collegati alla costruzione di una democrazia operante nella quotidianità.
Con particolare riguardo a quella che viene comunemente definitiva democrazia partecipativa e che comporta un protagonismo permanente dell’opinione pubblica nella definizione e nell’orientamento delle agende nazionali ed internazionali, come pure nell’esercizio concreto del potere decisionale sulle questioni di natura sia locale che più generale. Come sempre accade, ovviamente, lo strumento di per sé risulta in certa misura neutrale, ovvero suscettibile di usi diversi che vadano sia a favore che contro detto diritto. Non bisogna peraltro tralasciare, già in questa fase introduttiva, la circostanza che, data la sua struttura a rete e la conseguente capacità di operare interconnessioni di carattere orizzontale e quindi paritario, lo strumento in questione presenta talune notevoli potenzialità nel senso del rafforzamento del diritto alla libera espressione del pensiero e alla sua comunicazione, così come del resto, dal punto di vista della diffusione delle informazioni.
Fino a che punto l’esperienza di un blog come questo, le centinaia di altri ospitati dal Fatto, o le migliaia di altri che risultano oggi accessibili, costituiscono uno strumento di partecipazione politica? E’ il caso di chiederselo, ed ho voluto dedicare a questo tema questo quattrocentesimo post in oltre tre anni di vita, a partire dal gennaio 2011, di questo mio blog.
L’esperienza che ho fatto in questi tre anni e quasi oramai tre mesi mi sembra molto istruttiva e significativa. Ho provato a parlare di questioni di fondo, sia da un punto di vista internazionale che interno. La mia qualifica di giurista internazionale, della quale mi è stato più volte chiesto conto, anche in tono polemico, deriva sia dal tipo di studi cui mi dedico (il diritto internazionale) sia dal fatto che faccio parte, com’è scritto nel mio profilo, delle associazioni dei giuristi democratici esistenti a livello nazionale, europeo e internazionale. Cariche ben poco onorifiche ma che consentono di girare il mondo e di conoscerlo. Sempre ovviamente con un punto di vista e se volete anche un pregiudizio preciso, quello dell‘importanza della realizzazione dei diritti e della democrazia reale in un mondo sempre più modellato a sua immagine e somiglianza da un capitale avido di risorse, sia umane che naturali, produttore di ingiustizia e disuguaglianza, e che ci ruba ogni giorno di più quel poco di umanità che siamo riusciti nonostante tutto a conservare fin qui.
Penso che nel suo piccolo questo come altri blog costituisca un momento di partecipazione politica e di espressione delle proprie idee. Purtroppo molte volte ci si arena nelle secche di una contrapposizione ideologica un po’ stile anni Cinquanta, ma non è tutta colpa mia se ciò accade. Per il futuro mi impegno a portare avanti ancora i temi trattati ed altri ancora, sforzandomi di enunciarli in modo il più possibile innovativo, ma senza rinunciare a quelle radici in mancanza delle quali ogni discorso scade nell’opportunismo e si tende a perdere la visione d’insieme che oggi più che mai è necessaria, anche se difficile.
Ringrazio quindi il Fatto che, ospitandomi, dimostra di essere un giornale davvero democratico. E tutti gli interlocutori, ovviamente quelli che mi sostengono ma anche quelli che mi avversano, che mi hanno fatto riscoprire il piacere della polemica e costretto in molte occasioni ad interrogarmi criticamente sul fondamento delle cose che vado scrivendo. Un esercizio indispensabile affinché ci sia quella convinzione delle proprie idee che costituisce un presupposto indispensabile della vera democrazia. Ringrazio persino quel signore antichavista che in modo un po’ minaccioso si è augurato di incontrarmi. Mi ha fatto tornare ai tempi della mia gioventù. Tempi che non è né possibile né auspicabile che tornino ma che chi li ha vissuti rimpiange, guardando a volte con un po’ di commiserazione quelli che sono venuti dopo. Forse anche perché, come ha insinuato qualche commentatore un po’ maligno, erano per l’appunto i tempi della gioventù. Ma soprattutto secondo me perché erano i tempi in cui si gridava “potere a chi lavora” e si pensava che fosse realizzabile. Oggi sono i tempi tristi del potere della finanza, ma finiranno prima di quanto non si pensi.