L'intero disco è una cavalcata mozzafiato, un rhythm and blues schietto e senza fronzoli. Con un'armonica che ritorna spesso a rimarcare il collegamento con la “vecchia scuola”
L’etichetta dei fratelli Chess – vera e propria pietra angolare per tutto ciò che poi si sarebbe diventato pop music – aveva cessato la sua attività nel 1975, ma oggi rivive grazie a un album appena uscito. Si tratta di “Going Back Home“, che senza dubbio incarna la vera essenza della Chess Records. Nel 2014 si può avere lo stesso vortice di potenza frutto di esperienze e stili di vita – spesso estremi – di artisti come Bo Diddley o Muddy Waters? Roger Daltrey, cantante degli Who e autore insieme a Wilko Johnson del disco appena citato, ammette che “molta musica di oggi è finta, senz’anima. Questo album ha invece una freschezza che può solo arrivare dalle pressioni cui siamo sottoposti quotidianamente”.
Quanto a pressioni, o meglio riguardo al beffardo e dannato sgambetto dell’esistenza, Johnson ne sa qualcosa: da quando gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas sembra essere piombato nel macabro gioco della roulette russa. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, ed ecco perché ogni nuova alba strappata ad un aldilà diventa un dono impagabile. Entrambi provano a sdrammatizzare: “Fortuna che non ha scelto di fare la chemioterapia – scherza Daltrey alludendo alla calvizie di Wilko durante un’intervista al mensile Mojo – sarebbe rimasto senza capelli”. “Sarei dovuto morire due mesi fa – ribatte Johnson – avevo abituato la mia mente a quest’idea”. La malattia di Wilko ha accelerato la realizzazione di “Going Back Home“, progetto che era nel cassetto da molto tempo, ma che continuava ad essere rimandato. Il disco è stato registrato in una settimana, allo Yellow Fish di Uckfield, piccolo villaggio nel Sussex. Le canzoni appartengono alla produzione di Wilko (e comprendono anche alcuni brani dell’epoca Dr. Feelgood), ad eccezione della gylaniana “Can You Please Crawl Out Your Window”, qui splendidamente interpretata, dove la voce di Daltrey appare ancora più ruvida e potente.
I versi iniziali della tiratissima titletrack di apertura, assumono adesso un sapore tutto particolare. Quel “I want to live, the way I like” ricoperto di rock’n’roll, resta intriso di un profondissimo blues. L’intero disco sarà una cavalcata mozzafiato, un rhythm and blues schietto e senza fronzoli, con la Telecaster di Wilco più graffiante che mai, con un’armonica che ritorna spesso a rimarcare il collegamento con la “vecchia scuola”, la batteria di Dylan Howe che non perde un colpo e le tastiere di Dexys Mick Talbot pronte a creare le tessiture perfette.
L’unico difetto ad un disco del genere lo si trova nell’essere troppo pulito. Si è dedicata troppa attenzione a far sì che i suoni risultassero perfetti, mentre un album di questo calibro avrebbe meritato un approccio più vecchia maniera, una registrazione in presa diretta senza ritocchi successivi, perché questo è ciò che si merita una voce graffiante come quella di Daltrey (la Motown sembra prendere vita in “Keep On Loving You”) o la chitarra di Wilko, splendida, ma troppo pulita per pezzi come “Everybody’s Carrying A Gun”. A parte questa cura eccessiva dei suoni, “Going Back Home” è un album che viaggia ad altissima potenza, concedendosi un solo momento di pura e palese nostalgia con “Turned 21”. E anche qui l’interpretazione di Daltrey è sublime, carica di quella delicatezza e ispirazione che sono una vita vissuta davvero può portare. Questo disco non è solo il sogno di Wilco che si realizza (una collaborazione con Daltrey), ma è la musica che grida alla vita.