Temporary Road. (Una) Vita di Franco Battiato. Si è chiusa così la XIII edizione del RIFF (Rome Independent Film Festival), con la partecipazione del cantautore la cui ricerca musicale è stata sempre accompagnata da una profonda ricerca introspettiva. In una sala gremita del Nuovo Cinema Aquila di Roma, il musicista siciliano, insieme ai registi Giuseppe Pollicelli e Mario Tani, ha presentato il documentario
All’inizio dell’incontro, Pollicelli ha sottolineato che “La scelta del titolo è legata alla teoria di Franco sulla reincarnazione” aggiungendo che delle sue tante vite vissute hanno deciso di raccontare una vita in particolare. “Abbiamo tenuto volontariamente fuori il discorso della politica, poiché i temi dell’opera di Battiato sono più alti e diversi”. E l’artista, che è stato assessore regionale alla Cultura per la Giunta Crocetta, ha subito precisato: “Ultimamente trenta milioni di italiani non hanno votato e io sono uno di questi. Ho votato Bersani e mi sono sbagliato. Non sono in grado di sostenere la sinistra”.
Il documentario parte dagli anni ’60, quando il cantautore lascia la Sicilia per cercare fortuna a Milano. Negli anni ’70, tra l’influenza della musica elettronica e uno stile difficile da far digerire al grande pubblico, il giovane Battiato vive la sua prima crisi esistenziale, non riconoscendo più gli esseri umani intorno a lui. “Non mi interessava più di tanto il giudizio del pubblico: io facevo la mia carriera, i miei studi, poi chi voleva seguire il mio percorso era il benvenuto. Dalla mi diceva sempre ‘Tu ti fai inseguire, io inseguo’” ha dichiarato, seguitando poi a raccontare la scoperta dei mistici indiani come Paramahansa Yogananda, che lo hanno riportato alla luce, mostrandogli il modo di comunicare con gli altri attraverso la musica.
Durante la lunga intervista seduto in poltrona, Battiato racconta il suo punto di vista sulla realtà umana, mentre scorrono immagini della sua vita, video dei suoi concerti di maggior successo e scene riprese da alcuni film da lui stesso diretti: Perduto Amor, Niente è Come Sembra e Musikanten. “Musica e cinema, in particolar modo, sono due arti legate tra loro da un forte rapporto; la prima, a servizio dell’immagine, può servire fortemente. La musica per film esiste solo quando è autonoma”.
Questo artista liberato dalle “catene delle passioni”, durante l’incontro, ha trasmesso quel misticismo misterioso che lo ha sempre contraddistinto. Nel documentario i registi lo assecondano, ma non intervengono artificiosamente. “Sono nato a Jonia e all’età di 23 anni ho cominciato a vivere delle situazioni mistiche, il mio corpo ha iniziato a vibrare come fosse uno jambo, e sono partito alla velocità della luce”. Reduce da un viaggio in Tibet per realizzare un nuovo documentario ha parlato infine di questo progetto. Un documentario sulla morte, commissionato da un operaio siciliano che vi ha investito 50 milioni di euro. “Sono stato a Katmandu per intervistare tre Lama poiché i tibetani sono quelli che hanno l’idea più chiara di quello che succede agli uomini dopo la morte. Spero di presentare il documentario in anteprima ad un Festival di Catania. Quando ero in Tibet non finivo mai di fare domande, ma i lama mi rispondevano sempre perché sono dei santi. Mi hanno parlato della differenza di tempo tra la Terra e il bardo, la fase di transizione e il passaggio nell’aldilà”.
Temporay Road è un perfetto esempio di come il cinema possa farsi spettacolo, attraverso la testimonianza di un artista unico, che attrae da sempre un pubblico felice di perdersi nell’incantesimo della sua energia e della sua visione carismatica dell’esistenza.