‘Ma lei… lavora all’università?’ Presentarsi ad uno sconosciuto come uno dei 55.000 tra professori e ricercatori italiani provoca nell’interlocutore sempre una reazione non neutra di curiosità variabile dal qualificarti dal solito raccomandato, al topo di laboratorio sfigato, fino a un luminare nel campo.
Il resto della conversazione è però prevedibile: l’interlocutore ti dice che l’università così come è non funziona, che “hadetto miocuggino” che era tanto bravo e che adesso è dovuto andare all’estero, che i ricercatori dovrebbero ricercare qualcosa di utile e non portare il caffè ai famigerati “baroni”. Sorprendentemente, è comune parlare di Università come se si discutesse della squadra nazionale: con coinvolgimento e passione.
In fondo, l’università è il team che rappresenta il paese, e gli utenti/tifosi desiderano sempre il meglio. È comprensibile essere esigenti, ma bisogna capire che come la nostra squadra del cuore non vincerà tutte le partite della stagione, così nell’università ci saranno sempre aspetti migliorabili. Il nostro sistema universitario è competitivo rispetto a quello degli altri paesi, soprattutto rispetto ai finanziamenti stanziati. Se i nostri laureati sono apprezzati dal mercato del lavoro e all’estero, questa è la dimostrazione che i nostri docenti non sono poi così male, diversamente da come apparirebbe da alcune classifiche pubblicate su mezzi di informazione…
Si potrebbe quindi migliorare l’università sfruttando gli stessi meccanismi con cui si rende più competitiva una squadra di calcio? Innanzi tutto, promuovendo il gioco di squadra. In un team sportivo come nell’università esistono diversi ruoli: insegnamento, ricerca e terza missione, ovvero trasferimento tecnologico, culturale e divulgazione scientifica. Se in una squadra premiassimo solo chi segna un goal, questo potrebbe motivare gli attaccanti, ma potrebbe essere disastroso in termini di risultato globale, perché i difensori andrebbero in area avversaria a cercare fortuna anziché rimanere nel loro ruolo. Il premio solo a chi segna porterebbe a perdere 5-1 tutte le partite. Il modello vincente è gratificare il team nel suo insieme, con un riconoscimento speciale a chi ha contribuito di più.
Nonostante questo concetto sia pacifico nel calcio, sembra che negli ultimi anni la tendenza all’interno dell’accademia sia esattamente inversa. Quest’anno i fondi PRIN, (Progetti di Interesse Nazionale, la fonte principale di finanziamento alla ricerca di base) sono stati praticamente azzerati. Ci sono molti docenti il cui stipendio costa alla collettività una cifra considerevole, ma che in pratica se necessitano del toner della stampante se lo devono pagare di tasca propria perché senza fondi di ricerca. Chi è motivato lo compra e lavora, chi non è motivato ha una scusa per giustificarsi. Di contro, sono lanciati dei progetti (anche finanziati con cifre considerevoli) che richiedono l’aggregazione a volte artificiosa di molti studiosi su temi pre-confezionati. L’allenatore della nazionale si guarderebbe bene dall’ascoltare i politici per decidere la formazione, eppure i pochi fondi sono sempre più destinati su “ricerche utili”, ovvero secondo priorità decise non dai ricercatori ma dalla politica, “dimenticandosi” del gioco di squadra.
Adesso, c’è un cambio al vertice della federazione Calcio/Università. Il nuovo “Ministro-Presidente” Stefania Giannini si è appena insediata. Il suo programma elettorale parla di “eccellenza”. Ma quale tipo di “eccellenza”? Solo per pochi fortunati o anche per tutta la squadra e i tifosi?
È indubbio che la “Nazionale-Università” magari si sia un po’ allontanata dai propri sostenitori; la seguono con scetticismo ma pronti ad esultare per una bella vittoria. E i supporter più sfegatati sono gli studenti che contagiano i docenti grazie al loro grande entusiasmo. E con l’entusiasmo e la voglia di fare si vincono le partite che sulla carta non avrebbero storia. E allora “Ministro-Presidente” Stefania Giannini: attenzione a non deludere noi docenti, ma soprattutto gli studenti.