Il mondo dei mass media ha completamente cambiato il nostro modo di percepire la realtà e l’informazione. Ci ha permesso di abbattere confini spazio-temporali, di superare barriere linguistiche e culturali, aprendo uno spaccato sul mondo e suoi suoi retroscena, fino a qualche decennio fa, del tutto impensabile.
La rivoluzione digitale ha poi contribuito ancora di più a creare un’interattività istantanea e globale, diffondendo idee ed immagini in tempo reale e contribuendo a dare voce a vere e proprie proteste popolari, culminate in alcuni casi con l’abbattimento di poteri pluridecennali. Le recenti rivolte che hanno colpito la Tunisia, l’Egitto, la Siria e per ultima l’Ucraina rappresentano l’esempio più calzante della portata di tale rivoluzione. L’utilizzo dei nuovi canali di comunicazione ha permesso al mondo intero di assistere, col fiato sospeso, a questi cambiamenti epocali. Eppure, avere la possibilità di guardare in faccia la storia, magari dal ciglio di una strada o ritrovarla riflessa negli occhi di chi se ne è fatto diretto portavoce, è qualcosa che non ha eguali.
È questa la storia di Marco Carrelli, un giovane neolaureato bolognese che, così come tanti suoi coetanei, finita la laurea decide di partire per un’esperienza formativa all’estero per ritrovarsi, però, a vivere un’avventura ben diversa dalle tante storie di mobilità raccontate dai ragazzi della nostra generazione. “Mi sono laureato in Giurisprudenza il 7 febbraio 2014 racconta Marco – e sono partito per Kiev, subito dopo la laurea per partecipare ad un progetto che consisteva nell’insegnare la lingua inglese all’Università. Ho scelto l’Ucraina perché volevo mettere in pratica quello che avevo imparato durante un corso di russo. Inoltre ero spinto da una forte curiosità nei confronti di un paese che ancora portava i segni della cultura sovietica” .
Attratto dalla storia e dai paesaggi di questa terra, imparati ad apprezzare anche grazie al famoso film americano ambientato nelle zone di Odessa e Leopoli, “Ogni cosa è illuminata”, la mattina dell’8 febbraio, rassicurato dai referenti ucraini dell’associazione ospitante e senza neanche il tempo di riprendersi dall’adrenalina del giorno precedente, Marco prende un volo di sola andata per Kiev. “Quando a dicembre 2013 decisi di partire ci spiega la rivoluzione ucraina non era ancora cominciata, o meglio, era ancora ad uno stadio embrionale, con proteste pacifiche filoeuropeiste in Piazza Maidan. A gennaio, però, queste innocue dimostrazioni si sono tramutate in violenti scontri per l’interferenza degli estremisti del partito di destra Svoboda, ora al governo con il partito Patria della Timoshenko. Mai avrei pensato che la situazione sarebbe potuta degenerare in quel modo”.
La possibilità di riflettere su un mutamento storico da una prospettiva, nel bene e nel male, privilegiata rispetto a quella di spettatori passivi, ha permesso a Marco di confrontarsi con tutti gli aspetti della rivoluzione e sviluppare un giudizio critico, lontano da notizie spesso distorte da logiche di mercato, se non addirittura di potere. “Dalle opinioni che ho raccolto a Kiev, mi sono reso conto che l’informazione non è sempre stata completa e in alcuni casi è stata addirittura falsata. Se la Timoshenko, ad esempio, è stata spesso descritta da vari giornali italiani come una paladina della democrazia, vittima di Yanukovich, in realtà pochi ucraini la vogliono come futuro presidente sia per gli scarsi risultati ottenuti nel precedente mandato sia perché nessuno sa con certezza se la condanna per abuso d’ufficio comminata nel 2011, sia da considerarsi come politica oppure no. Agli ucraini non piace l’attuale governo ad interim, perché nonostante sia composto dagli oppositori del precedente partito in carica, essi sono tutti compromessi con il vecchio sistema. Negativo anche il giudizio sulla stessa Unione Europea, che ai loro occhi sembra non essersi data abbastanza da fare per porre fine al massacro.”
Poche settimane prima della conclusione del progetto, Marco, preoccupato dall’invasione russa della Crimea e già provato dalla situazione a Kiev, decide di tornare, riportando a casa un bagaglio esperienziale di un peso e di una portata, pur nel suo dramma, senza precedenti. “È stata un esperienza interessante soprattutto per la rivoluzione cui ho assistito e che mi ha permesso di conoscere la vera Ucraina, lontana dall’immaginario turistico. Una nazione fatta di tanta povertà ma di grande generosità. Se mai dovessi tornare a Kiev – conclude scherzando - partirei in estate, lontano non tanto dalle rivolte, quanto dal grigiore di un rigido inverno, quasi senza neve”.