Il presidente taiwanese Ma Ying-jeou ha infine accettato di incontrare i rappresentanti degli studenti che occupano da una settimana il parlamento di Taipei per protestare contro il trattato commerciale tra l’ex Formosa e la Cina continentale. La concessione arriva dopo l’escalation che ha portato a violenti scontri tra polizia e studenti nella giornata di lunedì.

Le agitazioni sono cominciate il 17 marzo, quando il Kuomintang ha annunciato che non avrebbe effettuato una revisione preventiva del Cross-Straits Service Trade Agreement, prima di passarlo in Parlamento, dove ha la maggioranza. Il Partito democratico progressista, che sta all’opposizione, sostiene ci fosse un accordo informale affinché il trattato venisse rivisto congiuntamente, articolo per articolo, prima dell’iter parlamentare. Così, circa tremila studenti che contestavano l’accordo fin dallo scorso autunno, hanno occupato il Parlamento. Per loro, il trattato è un passetto ulteriore verso il riavvicinamento anche politico tra i due lati dello stretto e, soprattutto, comporta una diminuzione delle proprie, future, prospettive occupazionali. Per i democratici, penalizzerà invece le piccole imprese locali.

Il Cross-Straits Service Trade Agreement – che dovrebbe essere approvato entro l’8 aprile – apre alle imprese taiwanesi 80 settori dei servizi nella Cina continentale e 64 analoghi settori di Taiwan alla concorrenza cinese. È la naturale conseguenza dell’Economic Cooperation Framework Agreement (Ecfa), un accordo preferenziale siglato nel 2010, che ha ridotto le tariffe e le barriere commerciali tra le due parti. 

Il nuovo trattato appare altamente strategico per alcuni motivi. Primo: la tempistica. Non solo le imprese taiwanesi avranno un canale privilegiato verso la Cina in un momento in cui quel mercato enorme si fa più selettivo, ma l’ex Formosa potrà intercettare capitali provenienti dal continente in una fase in cui Pechino pigia molto sul tasto degli investimenti diretti all’estero. E l’Asia è lì, tutta attorno: se i soldi non vanno a Taiwan, vanno altrove. Secondo: il Cross-Straits Service Trade Agreement riguarda i settori più avanzati. L’Ecfa aveva a che fare con le merci, qui si parla dei servizi ad alto valore aggiunto. Ed è ciò che la Cina rincorre disperatamente per diventare economia evoluta e superare il vecchio, ormai insostenibile, modello di sviluppo. Taiwan può cavalcare questa tigre e può farlo da una posizione vantaggiosa, dati i legami storici e linguistici. 

Terzo: l’integrazione economica favorisce non solo la prosperità, ma anche la sicurezza. È una costante nei rapporti tra Pechino e Taipei: prima viene il business, poi, con i suoi tempi, la politica si adegua. Quarto: le due parti hanno convenuto che il patto non si applicherà alle persone fisiche che intendono accedere al mercato del lavoro, né a cittadinanza, residenza o occupazione a titolo permanente. Altrimenti detto, è il classico accordo neoliberista: libera i capitali ma non gli umani. Quello che temono gli studenti “democratici” di Taiwan – perdere prospettive di lavoro – non avverrà, perché non ci sarà nessuna invasione di nonming (migranti) cinesi sull’isola. L’altro lato della medaglia è il solito: il timore che l’identità e l’autonomia taiwanesi svaniscano “come lacrime nella pioggia” nella grande Cina. Taiwan ha un bel grattacapo: cavalcare il Dragone da posizione privilegiata – con tutti i rischi annessi – o lasciare che lo faccia qualcun altro.

di Gabriele Battaglia

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