Il governo Renzi ha di fronte a sé un’occasione formidabile per cambiare verso con una riforma che, a costo zero, garantirebbe benefici incommensurabili a una quota molto ampia della popolazione.
Mi riferisco ai diritti civili. Una riforma che consentisse il matrimonio gay sul piano economico non costerebbe nulla, diversamente da altre riforme più complesse e costose che pure sono nell’agenda dell’esecutivo. Né interferirebbe in alcun modo con le tante emergenze di politica economica, come la lotta alla povertà e alla disoccupazione.
In compenso, i benefici sarebbero enormi. Anzitutto si renderebbero sempre più anacronistici i comportamenti omofobici e le discriminazioni dovute all’orientamento sessuale. Inoltre, si allevierebbe notevolmente la tensione che soffoca e spinge al suicidio tante ragazze e ragazzi gay, i quali potrebbero trovare nelle istituzioni un interlocutore credibile in grado di tutelarne adeguatamente i diritti.
La letteratura scientifica ha mostrato che, nell’età in cui più si ha bisogno di essere accettati dal gruppo e dalla società, gli omosessuali che vivono in comunità dove la loro condizione è particolarmente stigmatizzata patiscono un intenso logoramento delle condizioni psicofisiche, che aumenta in modo statisticamente significativo il rischio di suicidio.
In uno studio pubblicato il mese scorso su Social Science & Medicine, un team di ricercatori guidato da Mark Hatzenbuehler della Columbia University ha mostrato che, negli Stati Uniti, le minoranze sessuali che vivono in comunità caratterizzate da forti pregiudizi contro l’omosessualità patiscono un tasso di mortalità più elevato rispetto al resto della popolazione, a parità di condizioni ambientali, socio-demografiche ed economiche. Ciò si traduce in un’aspettativa di vita più breve di 12 anni. Un’analisi delle cause di morte rivela che il suicidio e le malattie cardiovascolari (il cui rapporto con situazioni di stress è noto da tempo) hanno un’incidenza molto più elevata presso gli omosessuali che nel resto della popolazione. Il dato sui suicidi è particolarmente impressionante: nelle comunità in cui i pregiudizi sono più forti, l’età media in cui ci si toglie la vita è, nelle minoranze sessuali, di 18 anni più bassa rispetto al resto della popolazione.
Studi nel campo dell’economia e del management, inoltre, hanno mostrato che le discriminazioni dovute all’orientamento sessuale peggiorano significativamente non solo la salute ma anche la produttività dei lavoratori omosessuali.
In una recente analisi empirica del mercato del lavoro italiano, pubblicata sul Journal of Behavioral and Experimental Economics, Fabrizio Botti dell’Università di Perugia e Carlo D’Ippoliti della Sapienza Università di Roma hanno mostrato che la necessità di nascondere il proprio orientamento sessuale (per sottrarsi a discriminazioni e comportamenti omofobici) ostacola la piena affermazione dei lavoratori omosessuali, la socializzazione sul posto di lavoro e la condivisione degli obiettivi aziendali. Ciò ha un effetto negativo anche sulla società nel complesso, in quanto riduce la produttività del lavoratore e la capacità di innovazione delle imprese.
L’urbanista americano Richard Florida (Università di Toronto e New York University), infatti, ha osservato che le regioni statunitensi dove non ci sono leggi che discriminano gli omosessuali e i comportamenti omofobici sono più rari registrano tassi di crescita economica storicamente più elevati. In queste regioni l’economia gode dell’apporto creativo di tutti i lavoratori, senza l’esclusione di chi appartiene a minoranze altrove discriminate.
In parole povere, un’economia in cui vi fossero leggi che discriminano le donne (si pensi per esempio ad alcuni paesi del Medio Oriente, o all’Italia prima che fosse concesso il diritto di voto femminile) perderebbe l’apporto creativo delle donne. Un’economia in cui fossero istituzionalizzate le discriminazioni razziali, perderebbe l’apporto creativo di chi non appartiene all’etnia dominante. Lo stesso vale per le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.
Purtroppo, finora l’esecutivo ha mandato segnali poco incoraggianti. Prima è arrivato l’attacco del Ministro dell’Interno Angelino Alfano al Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, reo di aver esteso alle coppie di fatto il diritto ai mutui agevolati per la casa: “Io non sono omofobo, ho molti amici gay, ma le risorse non possono che essere destinate alle famiglie normali e ai giovani che cercano lavoro”.
Secondo Alfano le coppie di fatto che si amano ma hanno scelto di non sposarsi, o che si amano ma non hanno il diritto di sposarsi perché omosessuali, non sono famiglie normali. Per la precisione, sono inferiori. Persone e famiglie di serie B, cui si vorrebbe negare non solo il matrimonio ma anche la possibilità di chiedere un mutuo agevolato per comprare la casa.
Subito dopo il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, sempre del Nuovo Centro Destra, ha condannato le iniziative di informazione sull’omosessualità e di contrasto alla discriminazione nelle scuole in quanto, sostiene, fonte di “indottrinamento“.
Infine, il Ministero dell’Istruzione ha rinviato “a data da destinarsi” i corsi di formazione anti-omofobia per insegnanti, inizialmente previsti questa settimana. E bloccava la distribuzione del kit anti-discriminazione, “Educare alla diversità a scuola”.
Eppure sui diritti civili sarebbe non solo importante, ma anche molto facile cambiare verso. Il miglioramento del benessere delle persone discriminate (e della loro salute e della loro produttività) potrebbe essere ottenuto a costo zero. Nessun economista – e nel governo Renzi ce ne sono diversi – dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di conseguire un miglioramento paretiano tanto evidente.
Quanto al premier, oggi ha detto di essersi ispirato a Obama per il Jobs act. Non sarebbe male se dal presidente americano potesse trarre ispirazione anche sui diritti civili.