Non una semplice “interpretazione normativa”, ma una vera rivoluzione nel sistema di gestione della sosta a pagamento. E’ questo il possibile risultato dell’intervento che il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture retto da Maurizio Lupi ha fatto di giovedì scorso, affrontando la vicenda delle multe per gli automobilisti che superano il limite di sosta nelle aree a pagamento. Uno scossone che potrebbe portare a una sostanziale privatizzazione del sistema di controllo e della riscossione delle multe. La questione è stata sollevata il 13 marzo scorso da un’interrogazione parlamentare a firma dell’onorevole Michele Mognato del Partito democratico e, nel comunicato stampa del ministero, veniva derubricata a una semplice interpretazione legislativa.

Secondo il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, autore della risposta, il superamento del periodo di sosta pagato, in pratica, non verrebbe più considerato una violazione del codice della strada, ma una semplice “inadempienza contrattuale” che comporterebbe solo il pagamento della differenza tra quanto pagato e quanto effettivamente si sarebbe dovuto pagare. Una distinzione che aveva fatto infuriare l’Associazione Nazionale Comuni Italiani e aveva messo sul piede di guerra anche il Codacons, pronto a bombardare di ricorsi le amministrazioni comunali per le multe emesse negli ultimi 60 giorni.

Leggendo con attenzione il testo integrale della risposta all’interrogazione, però, si scopre che le cose sono molto più complicate. Qui, per esempio, il ministero scrive che “le azioni necessarie al recupero delle evasioni tariffarie e dei mancati pagamenti, ivi compresi il rimborso delle spese e le penali, da stabilire con apposito regolamento comunale, secondo le indicazioni e le limitazioni fornite dal Codice Civile e dal Codice del Consumo, ai sensi dell’art. 17, comma 132 della legge n. 127 del 1997, possono essere affidate al gestore del servizio”. Il mancato incasso può quindi essere compensato dal rimborso delle spese e dalle penali che vanno a sommarsi al pagamento della differenza tra quanto pagato e l’effettivo periodo di sosta.

Queste ultime, secondo il ministero, dovranno essere quantificate da un apposito regolamento comunale e, di conseguenza, potrebbero anche essere equivalenti o addirittura superiori alle contravvenzioni attualmente applicate. Ma c’è di più. Le riscossioni vengono infatti affidate al gestore del servizio, che di solito è una società controllata dal Comune che ha la forma della SpA o Srl. L’automobilista indisciplinato potrebbe non trovarsi più di fronte a una contravvenzione, ma potenzialmente a una causa civile per inadempienza contrattuale in cui viene citato in giudizio da una società privata partecipata dal Comune. Non solo: il citato comma 132 della legge n.127 consente di affidare anche “funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta” ai dipendenti delle stesse società di gestione.

Insomma: l’interpretazione del ministero rischia di aprire la strada a una sostanziale privatizzazione del sistema di elevazione e incasso delle contravvenzioni. Ma che interesse avrebbero i comuni a battere questa strada? Lo scopo dell’operazione si spiega meglio nel paragrafo seguente, in cui il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro precisa: “Al riguardo faccio presente che le somme corrisposte a titolo di penale, essendo sottratte al campo di applicazione del Nuovo codice della strada, non sono soggette agli obblighi di cui all’articolo 7, comma 7, e articolo 208 del medesimo”. Gli articoli citati del Nuovo Codice della strada sono quelli che stabiliscono la destinazione delle somme incassate, a oggi vincolati a interventi legati alla garanzia della sicurezza stradale. Insomma, se prima i soldi riscossi con le contravvenzioni dovevano essere utilizzati per interventi di miglioramento delle infrastrutture stradali, per il pagamento dell’assistenza e previdenza della Polizia di Stato, al Ministero dell’Istruzione per le campagne sull’educazione stradale e per altre finalità simili, ora diventano “normale profitto” delle società che gestiscono il servizio e i comuni (che le controllano) possono usarli come vogliono. Tutto attraverso una semplice interpretazione legislativa.

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