Il Tribunale, con una sentenza senza precedenti, ha condannato Claudio Anastasio a 20 anni di reclusione, 120mila euro di multa e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. L’imputato, ex squadra mobile e arrestato insieme ad altri cinque colleghi nel 2013, era accusato di reati di droga, favoreggiamento della prostituzione, falso ideologico, utilizzo indebito di carte di credito e altri
Sentenza choc: 20 anni di carcere, 120mila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Si è concluso così il processo all’ispettore di polizia Claudio Anastasio, ex responsabile della sezione narcotici della Squadra mobile piacentina. Il pm Michela Versini aveva chiesto 16 anni e 6 mesi di reclusione, pena che già per la richiesta aveva fatto scalpore ma oggi il collegio di giudici, presieduto da Italo Ghitti, non solo ha accolto la tesi dell’accusa, basata sulle indagini dei carabinieri, ma ha aumentato la pena di tre anni e mezzo. Una sentenza clamorosa e che promette di far discutere. Il primo a commentare con amarezza è stato l’avvocato difensore, Piero Porciani: “Brutta pagina per la polizia italiana e per la giustizia”. Claudio Anastasio è l’unico dei cinque poliziotti della squadra narcotici rinviati a giudizio ad aver scelto il processo ordinario, senza sconti di pena. Gli altri quattro, che avevano scelto il rito abbreviato, sono già stati condannati in primo grado il 13 marzo scorso a pene che vanno dai 7 ai 9 anni. La difesa dell’ex ispettore, in attesa delle motivazioni, ha annunciato il ricorso in appello alla Corte di Bologna: “Speriamo che si possa ragionare con più serenità rispetto a Piacenza, resto allibito di fronte a una condanna superiore alle richieste del pm, che già ritenevo pesantissime”.
Appena emessa le sentenza, subito fuori dall’aula, ha parlato anche il procuratore capo di Piacenza, Salvatore Cappelleri, che non si è detto stupito: “A noi toccava provare i fatti, al tribunale spettava determinare le sanzione. D’altronde erano tanti e gravi come fatti e quindi è una pena consistente, come la nostra richiesta, ma in relazione e rapportata ai fatti. Non è una pena fuori dal mondo”. E ha chiarito il percorso che ha portato alla decisione: “Bisogna, quando si quantifica la pena, fare dei conteggi sulle previsioni normative. I nostri conteggi non sono molto lontani da quelli del tribunale, in una situazione in cui si parlava di fatti molto gravi”.
Facendo un passo indietro, in mattinata si era tenuta l’arringa difensiva che aveva cercato di spiegare che “condannare per spaccio Anastasio significa condannare chi combatte la droga” aveva detto l’avvocato Porciani, chiedendo poi la formale richiesta di assoluzione per l’ex capo della narcotici della questura cittadina. Nella ricostruzione dei fatti il legale aveva insistito sulle modalità con cui sono state condotte le indagini dei carabinieri, cioè “portate avanti in modo strambo” e aveva poi parlato delle accuse rivolte al suo assistito come “il frutto di testimonianze contraddittorie e di conversazioni telefoniche interpretate in modo errato”. Sempre l’avvocato aveva poi assicurato che “Anastasio è un uomo cambiato dopo questi mesi di carcere. Un uomo che dopo aver passato anni a combattere il crimine si ritrova in carcere senza capire il perché. Sì, un errore lo ha fatto: quello di essersi fidato delle persone che aveva sotto di lui e dei suoi superiori. Ma cosa avrebbe dovuto fare?” ha chiesto il legale. “Anastasio comandava persone infedeli” aveva continuato e “in tutta questa vicenda non si è arricchito di un centesimo, basta verificare i suoi conti correnti”.