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Decreto Imu-Bankitalia, i big del credito certificano il regalo: 4,6 miliardi di euro

La rivalutazione delle quote di via nazionale nei bilanci delle banche: a Intesa San Paolo vanno 1,5 miliardi, mentre a Unicredit 1,4 miliardi. Mentre Europa e Corte dei Conti vogliono vederci chiaro

Il regalo è ancora da spacchettare ma intanto la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia ha ridato ossigeno ai bilanci delle big del credito che in questi giorni hanno annunciato i conti del 2013. In totale parliamo di circa 4,6 miliardi, considerando solo le “grandi firme”.

Si tratta della legge che innalza da 156 mila a 7,5 miliardi il valore del capitale sociale di Palazzo Koch, firmata dall’ex ministro Fabrizio Saccomanni allo scopo di “aggiornare” il rendimento delle partecipazioni delle banche nell’istituto centrale raccogliendo circa un miliardo di risorse dalla tassazione delle plusvalenze generate. In vista della cosiddetta Asset Quality review, ovvero il check-up sugli istituti che a novembre passeranno sotto la vigilanza unica della Bce, il sistema creditizio ha dovuto fare pulizia con accantonamenti e rettifiche. Qualche milioncino in più ha dunque attutito in parte il colpo sebbene non si possano scontare ancora i benefici effettivi in termini di requisiti patrimoniali. In quasi tutti i bilanci, si segnala infatti che “essendo attualmente in corso approfondimenti da parte delle autorità competenti (l’Esma, la Consob europea, ndr) potrebbe emergere una differente interpretazione dei principi contabili rispetto all’approccio adottato”. Traduzione: se eventuali pronunce arriveranno entro le assemblee delle banche, ai soci verrà sottoposta una versione aggiornata dei conti.

Partiamo dai big. “La Consob è stata molto chiara e non ha posto vincoli di contabilizzazione. Noi non abbiamo bisogno della rivalutazione perché abbiamo un eccesso di capitale. Se ci può essere la possibilità di un ritorno positivo lo valuteremo”, aveva annunciato qualche settimana fa l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Il ritorno c’è stato eccome analizzando i risultati presentati ieri e chiusi in rosso per 4,55 miliardi. Fra i proventi di natura straordinaria spuntano infatti anche 2,56 miliardi “derivanti dall’iscrizione delle nuove quote partecipative al capitale di Banca d’Italia emesse dall’Istituto Centrale a seguito delle modifiche statutarie approvate dall’assemblea straordinaria del 23 dicembre 2013”. Tale beneficio, viene aggiunto, non ha avuto “nessun impatto sul Core Tier 1 ratio”, ovvero l’indice di solidità patrimoniale. Dopo essere arrivati a costruire cinque diverse ipotesi di bilancio, le plusvalenze sulle quote Bankitalia sono state inserite anche nel bilancio di UniCredit: 1,4 miliardi, al lordo di 200 milioni di imposte, derivanti da una rivalutazione del 22 per cento. Secondo l’amministratore delegato, Federico Ghizzoni, “se dovesse cambiare qualcosa nelle rivalutazioni non ci sarebbe impatto in termini di capitale, in quanto la legge approvata di recente dal Parlamento italiano ci tutela dal punto di vista patrimoniale. Potrebbe esserci un impatto sul conto economico quindi si tratterebbe in qualche modo di rettificare il risultato netto a chiusura dell’anno, aggiungendo 1,2 miliardi alle perdite”.

Anche il Banco Popolare che è stato il primo tra i grandi istituti a rendicontare il bilancio 2013, ha detto che la rivalutazione ha migliorato di 48,2 milioni il risultato dell’esercizio, chiuso con una perdita di 600 milioni. Banca Popolare di Vicenza invece aveva comunicato che la quota dello 0,23% posseduto dalla capogruppo nel capitale della Banca d’Italia è stata rivalutata per un valore di 10,3 milioni rispetto al valore di costo di 6,9 milioni. Il Monte dei Paschi ha contabilizzato a conto economico nel quarto trimestre un beneficio da rivalutazione della quota Bankitalia pari a 187,5 milioni di euro, ma ha avvertito che se il beneficio venisse imputato a patrimonio e non al conto economico, l’effetto negativo sul risultato netto di esercizio sarebbe di 165 milioni. Altri 20 milioni di rivalutazione emergono dal bilancio di Ubi, 13,1 milioni da quello della Popolare di Milano mentre Carige ha contabilizzato la nuova quota detenuta in Banca d’Italia per 299,9 milioni (263,9 milioni netti).

Il beneficio quindi per ora è solo sulla carta. Lo scorso 8 marzo l’Esma, l’organismo che riunisce i regolatori di mercato dei 27 Paesi Ue, ha acceso un faro sul trattamento contabile delle quote “rivalutate” di Bankitalia detenute dalle banche. Bruxelles sospetta che dietro alla rivalutazione delle quote si nascondano aiuti di Stato alle banche italiane. In generale, qualora l’indicazione da parte dell’Esma dovesse essere per un inserimento delle plusvalenze solo a riserva, gli istituti di credito non sarebbero tenuti a pagare la tassa del 12% sulle plusvalenze pari a 900 milioni euro in tre anni (peraltro già contabilizzati nella finanziaria 2014 per abolire parte dell’Imu sulla prima casa), di cui 300 quest’anno.

Intanto la Procura della Corte dei Conti del Lazio ha aperto un’inchiesta dopo aver ricevuto una denuncia per danno erariale dall’associazione Adusbef di Elio Lannutti che, assieme al Movimento 5 Stelle, ha preannunciato una battaglia legale. Oltre alla denuncia alla Corte dei Conti, l’Adusbef si è rivolta alla Commissione europea ipotizzando un aiuto di Stato e ha presentato esposto in 130 Procure italiane per l’ipotesi di peculato per distrazione ex articolo 314 del codice penale.

Certo, interpretare la rivalutazione delle quote di Palazzo Koch solo come un regalo alle banche è riduttivo. Non bisogna infatti dimenticare che su questo giochetto contabile il Tesoro ha già incassato quanto necessario per far quadrare i conti pubblici. Un domani quando le banche cederanno le loro quote potranno realizzare delle plusvalenze e anche sul fronte dei dividendi già dal 2014 le cose potrebbero migliorare. Ma per gli istituti è un regalo, per ora virtuale, dal punto di vista del conto economico.

da il Fatto Quotidiano di sabato 29 marzo 2014