Da alcuni giorni sulle principali testate finanziarie commenti molto duri sulla lettera del Tesoro, che impone alle partecipate di introdurre requisiti di onorabilità molto stringenti per la nomina dei vertici: per gli editorialisti si consegna il destino delle grandi aziende quotate all'intraprendenza di qualche pm
La battaglia per conquistare le partecipate dello Stato è entrata nella fase finale, la più dura, quella in cui i cacciatori di teste del ministero del Tesoro sono all’opera per selezionare i curricula e i potenziali candidati sono scatenati per spingere il proprio nome e frenare quello degli altri. Lo scontro più duro è attorno all’Eni: da alcuni giorni stanno uscendo sulle principali testate finanziarie internazionali commenti molto critici sulla lettera inviata dal ministero del Tesoro alle partecipate che impone di cambiare lo Statuto introducendo requisiti di onorabilità molto stringenti: ineleggibili tutti i manager che sono condannati o anche soltanto rinviati a giudizio per reati come la corruzione.
IL DOCUMENTO: LA LETTERA DI PADOAN
E se la condanna o l’imputazione sopraggiunge durante il mandato, scatta la decadenza (se il cda vuole salvare l’amministratore delegato deve convocare un’assemblea straordinaria e chiederle di graziarlo). Quando la lettera è arrivata all’Eni, l’amministratore delegato Paolo Scaroni non l’ha presa bene: è indagato per corruzione internazionale e – anche se esclude di essere rinviato a giudizio – sa bene che la lettera del Tesoro che il Fatto Quotidiano può pubblicare aggiunge incertezza, offrendo argomenti a chi vuole scalzare il manager vicentino da un’azienda che guida ormai da nove anni, oltre che rendere il vertice dell’Eni più precario di quello dei concorrenti internazionali (nel settore del petrolio, in cui si muovono miliardi, le indagini non sono rare).
Prima Reuters, nella rubrica Breakingviews,e poi il Wall Street Journal, hanno criticato la lettera del Tesoro con gli argomenti che Scaroni sicuramente condivide: in un Paese come l’Italia in cui i giudici sono scatenati, dicono in sintesi i due editoriali, si consegna il destino delle grandi aziende quotate all’intraprendenza di qualche pm. La condanna o l’archiviazione arriverà in tempi geologici, quando ormai il manager sarà lontano dalla sua azienda e il danno sarà ormai fatto. Gli avvisi di garanzia arrivano in Italia “con allarmante frequenza”, scrive Neil Unmack nella Breakingviews della Reuters, con lo stupore tipico dei commentatori anglosassoni che non sono abituati all’obbligatorietà dell’azione penale (negli Usa c’è molta più cautela a indagare i campioni nazionali). Sul Wall Street Journal Helen Thomas scriveva giovedì che la stretta sui requisiti nei consigli di amministrazione “potrebbero rafforzare le perplessità sull’influenza della politica italiana sui grandi gruppi”.
Oltre agli opinionisti, ecco anche i fatti concreti: il fondo Knight Vinke, che in questi anni ha pungolato spesso Scaroni, ha venduto la sua quota, quasi l’1 per cento “perché non è chiaro come sarà scelto il prossimo amministratore delegato. La decisione dovrebbe essere presa in base al merito e non a criteri politici”, ha detto il capo del fondo Eric Knight alla Reuters. Il legame con i requisiti di onorabilità non è esplicito, in questi anni Kinght Vinke ha spesso pungolato la gestione Scaroni di cui non condivideva tutto e già da settimane girava voce di un disinvestimento. Ma è sempre più chiaro che costruire il dopo-Scaroni (o confermarlo per il quarto mandato) è operazione molto complessa. Entro il 13 aprile, quando il Tesoro presenterà le liste per le assemblee dei soci delle partecipate, tutto sarà chiaro. Ci sono quindi pochi giorni per i candidati che vogliono accreditarsi per la successione.
I favoriti sono noti: l’ex dirigente dell’Eni Leonardo Maugeri, che sta lavorando per ricordare a chi di dovere che non è soltanto un economista autorevole (insegna ad Harvard) ma anche un uomo di impresa e di gestione, e Stefano Cao, a lungo ai vertici di Saipem, una controllata dell’Eni, e già in predicato di diventare ad nel 2005. Entrambi hanno lasciato il gruppo in contrasto proprio con Scaroni, una credenziale che possono spendere ora con il governo propenso alla “rottamazione”. Se invece dovesse prevalere una soluzione di continuità, c’è pronto Claudio Descalzi, il direttore generale a capo della esplorazione e produzione, nome che sarebbe il meno sgradito a Scaroni.