Mette una certa tristezza che l’intellettuale russo di riferimento che abbiamo in Italia attualmente sia Lilin, l’autore del bestseller Educazione siberiana, dove si spaccia il mito del criminale onesto e una serie di falsi storici pacchiani per una vicenda autobiografica. Giovedì sera era a Servizio pubblico e, interrogato sullo schieramento di truppe russe al confine con l’Ucraina, ha commentato che 100mila soldati non sono molti visto che in “Cecenia eravamo 500mila”. Niente di cui preoccuparsi? Del resto Putin “non è uno stupido”, non farà colpi di testa.
Ora se consideriamo che la Cecenia ha una popolazione di 1200mila abitanti (negli anni precedenti meno), appare chiaro che la cifra sparata da Lilin è assurda. Vorrebbe dire che in Cecenia, territorio montagnoso e impervio, una persona su tre era un soldato russo! Che bisogno c’era dunque di combattere? Bastava il corpo a corpo, le manette, il judo, anzi: la lotta greco-romana. Al contrario l’impiego di truppe è progressivamente diminuito nel corso delle due guerre cecene perché più soldati hai sul territorio più rischi perdite, attacchi della guerriglia, aggressioni di ogni tipo come sanno tutti, con vittime e problemi di contestazione interna, le madri in piazza e così via. Si è dunque intensificata nella seconda guerra cecena l’azione di bombardamento dell’artiglieria e dell’aviazione fino a radere praticamente al suolo il Paese e le truppe russe presenti sul territorio ceceno sono diminuite da 70mila a 60mila unità. Anche se si tratta di stime approssimative siamo lontani anni luce da quelle sparate da Lilin. Contano i carrarmati e gli elicotteri, non i fantolini.
Nonostante un costoso programma di ammodernamento per portare l‘esercito russo al livello tecnologico di quelli occidentali più avanzati, che comunque richiede tempo (la conclusione del programma è prevista per il 2020), le forze armate della Federazione sono di gran lunga le più forti dell’area ex sovietica ma hanno molti limiti. Soprattutto è urgente il passaggio a un esercito professionista e non di leva con i problemi connessi allo scarso addestramento.
Tornando al punto da cui siamo partiti, ci può stare che le fantasie romanzesche di Lilin, spacciate per vissuto personale, incontrino successo andando incontro ai gusti di un pubblico credulone e di bocca buona in cerca di un esotismo slavo da fogliettone criminale. Anche se lo scrittore russo Zachar Prilepin, che in Cecenia ha combattuto davvero, ed è membro del partito Nazional bolscevico (quello di Limonov), nonché autore di bellissimi libri editi da Voland come San’ka, si è dichiarato esterrefatto che in Italia e altrove ci sorbiamo le panzane raccontate da Lilin.
In un articolo intitolato La Russia artefatta che piace all’Occidente è sbottato su Educazione siberiana: “Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: “Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe“. Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo “Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry’. Impossibile!”
In Italia non solo è possibile, ma scatta pure l’invito televisivo a discettare di geopolitica. Insomma: non mi sembra il caso di tornare su Educazione siberiana, che purtroppo Salvatores ha trasformato in un film, e racconta una serie di cose inverosimili e cioè che Lilin discende da una tribù siberiana deportata in Moldavia ai tempi di Stalin che in Siberia viveva di rapine e in Moldavia ha continuato a sguazzare nel crimine ma secondo un codice di regole “oneste”, segretamente racchiuse in un codice di onore non scritto se non sulla pelle, vale a dire impresso nei tatuaggi. Già molti, in Italia e all’estero, tra cui Anna Zafesova della Stampa, hanno scritto quello che doveva essere scritto per ridicolizzare la verosimiglianza di quanto veniva spacciato non solo per realistico, ma addirittura per reale. Non solo per verosimile, ma pure per vero. Quello che più colpisce è che ci siano ancora dei giornalisti, delle trasmissioni televisive, che diano credito a Lilin, che lo prendano sul serio, quando non andrebbe preso più sul serio di un personaggio da bar di provincia che dice di avere un cugino che conosce uno che sa fare un colpo mortale e segreto e illegale di arti marziali.
Fino a qualche tempo fa l’expat di riferimento esperto di cose dell’Est in televisione almeno era un Predrag Matvejevic, discendente da una famiglia russa fuggita in nave da Odessa ai tempi della rivoluzione. Come siamo caduti in basso. Non un moldavo che si spaccia per discendente di una inesistente etnia criminale siberiana. Non a caso in Russia non lo traducono neanche. Ma quale censura putiniana! Si metterebbero a ridere. Qui lo si invita a pontificare in tivù.